Di questi tempi, sulle strade di Kiev, i sacerdoti della chiesa greco-cattolica sono stati assiduamente presenti. Hanno piantato anche loro le tende in piazza dell’Indipendenza, organizzandoci funzioni religiose. Hanno brandito croce e vangelo davanti al muro di forze speciali del ministero dell’interno disposto in ulica Grushevskogo. I preti scongiuravano il corpo a corpo, ma le loro suppliche non sono servite. Su via Grushevskogo ci sono stati scontri furibondi. Lì si sono registrate le prime vittime di una battaglia che, negli ultimi giorni, s’è fatta ancora più feroce e ha visto crescere perimetro e conta dei morti. Sono almeno settantacinque.

Il capo dei greco-cattolici, Sviatoslav Shevchuk, ha condannato la carneficina e tutti gli incitamenti alla violenza, da qualsiasi parte siano venuti, perché, ha detto, «contrari alla legge di dio e alla verità dei vangeli». Shevchuk ha inoltre affermato che la sua comunità intende costruire pace. Lo stesso messaggio è giunto dalle famiglie ortodosse del paese: la chiesa ortodossa-patriarcato di Mosca, la chiesa ortodossa-patriarcato di Kiev e quella autocefala.

Ma al di là del richiamo alla pace, la fede in Ucraina non è neutrale. Anche chi amministra il culto ha una sua visione del paese. Quella dei greco-cattolici, schierati piuttosto esplicitamente a favore di EuroMajdan, il movimento anti-Yanukovich, viaggia a braccetto con l’idea nazionale e nazionalista di Ucraina modellata nei distretti occidentali dell’ex repubblica sovietica e imperniata, in buona misura, sul rifiuto dell’influenza russa.

Questa pulsione, che a livello politico vede più interpreti, dalla destra estrema di Svoboda, al partito della Tymoshenko (Patria), fino a quello centrista dell’ex pugile Vitali Klitschko (Udar), è uno dei motori principali del confronto che ha dilaniato l’Ucraina. L’offensiva lanciata da una parte del paese nei confronti dell’altra. Il nazionalismo, nelle sue varie modulazioni, insorto contro il potere di Yanukovich, garantito dagli interessi della Russia. L’occidente contro l’est e il sudest, dove l’ombra di Mosca si insinua con prepotenza.

Ma perché la chiesa greco-cattolica, che segue la liturgia del cristianesimo orientale, ma è affratellata con il Vaticano, è uno dei centri d’irradiazione del concetto nazionale-nazionalista? Bisogna scavare nella storia. L’attuale Ucraina occidentale è stata a lungo sotto dominazione polacca. È in quell’epoca che in Galizia ha preso forma un discorso risorgimentale, sospinto anche da una questione di nazionalità. La chiesa greco-cattolica, in Galizia, aveva la sua roccaforte. Il rapporto tra fede e idea nazionale è stato forte, da subito. Senza contare che, come capita nella storia di chi si sente popolo ma non ha Stato, la religione ha fatto da colla.

Il nazionalismo ucraino ebbe un sussulto al termine della prima guerra mondiale, quando ci fu un tentativo di creare uno stato indipendente, insorgendo nel contesto della guerra polacco-sovietica di frontiera. Fu però strozzato. Quando esplose il secondo conflitto mondiale i nazionalisti tentarono di nuovo la via dell’indipendenza. Il segmento più radicale del movimento, quello guidato da Stepan Bandera, un eroe della nazione secondo Svoboda, un criminale per il Partito delle regioni di Yanukovich, ricorse persino a un’alleanza tattica con il nazismo. Ci fu un bagno di sangue. Ma, nuovamente, non funzionò. Dopo la guerra i sovietici confermarono le acquisizioni territoriali previste dal patto Ribbentrop-Molotov, strappando dunque alla Polonia l’attuale ucraina occidentale. I greco-cattolici furono messi fuori legge e perseguitati.

In Ucraina la fine del comunismo ha portato alla moltiplicazione e alla politicizzazione delle comunità religiose. La chiesa ortodossa, che l’Urss non soppresse, ma marcò sempre a vista, ha visto due secessioni minoritarie, con la nascita della chiesa ortodossa-patriarcato di Kiev e di quella autocefala. Sono accomunate sia dal fatto di non avere legittimazione canonica, sia dalla condivisione dell’ideale nazionale-nazionalista e sia infine dall’intento a monte della loro genesi: limitare l’influenza del patriarcato di Mosca e del Cremlino. Sia l’uno che l’altro rivendicano il legame tra Russia e Ucraina. È dunque logico che queste due chiese abbiano scelto di stare con il campo anti-Yanukovich, alla stregua dei greco-cattolici. Con la fine del comunismo posero fine alla fase catacombale della loro esistenza, unendo la propria voce a quella dei cittadini, che presero a rilanciare con insistenza il discorso nazionale-nazionalista.

Da dieci anni i greco-cattolici (due milioni abbondanti i fedeli) si sono fatti più ambiziosi, cercando di andare oltre il classico bacino dell’ovest e di darsi un respiro più nazionale. Lo spostamento della sede da Leopoli a Kiev, nel 2005, ha dato nitidezza a questa esigenza. La cosa infastidì parecchio il patriarcato di Mosca, che vede negli «Uniati», come vengono dispregiativamente chiamati i greco-cattolici, il cavallo di troia vaticano nell’area d’influenza ortodossa. Questo è il nodo principale nei rapporti tra la chiesa di Mosca e quella di Roma, che ha fatto segnare uno scatto in avanti nelle relazioni, suggellato dalla visita del patriarca Kirill a Varsavia nel 2012 e da quella di Putin in Vaticano, qualche mese fa, resa possibile dalla mediazione delle diplomazie delle due chiese.