Una richiesta di risarcimento stratosferica, dieci milioni di euro. Al quinto giorno del suo calvario il presidente della regione Sicilia rinuncia all’annunciata auto difesa nell’aula dell’assemblea regionale ma il suo avvocato illustra in conferenza stampa le contromosse legali. Il presidente fa partire un’azione riscarcitoria civile – assai più temibile e più rapida della querela penale – nei confronti del settimanale L’Espresso che ha pubblicato il testo dell’intercettazione scandalo tra il primario Matteo Tutino e Rosario Crocetta, quella dell’ormai celebre «dobbiamo fermare Lucia Borsellino come suo padre». Un’intercettazione che però non si trova. Dopo la procura di Palermo che ha smentito categoricamente di averla agli atti, e ha precisato che non è nemmeno tra quelle ascoltate e trascritte dai carabinieri che hanno condotto l’indagine su Tutino, ieri è stato il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari a fare un’identica smentita.

«Se avessimo un’intercettazione tra Tutino e Crocetta lo sapremmo, e non è così», ha detto Lari. Che poi ha aggiunto: «Posso pensare, ma è solo una mia ipotesi, che quella intercettazione, se esiste, possa essere stata captata in maniera illegale. In questo caso ovviamente il giornalista ha il dovere di capire se è così, anche se non è facile». La causa annunciata dall’avvocato di Crocetta Vincenzo Lo Re sarà nei confronti del giornalista che ha firmato l’articolo dell’Espresso – Piero Messina, licenziato dall’ufficio stampa della regione proprio dall’attuale presidente – e di un altro giornalista che ha collaborato, oltre che del direttore del settimanale Luigi Vicinanza. E non solo per omesso controllo «ma anche per aver più volte confermato l’esistenza di quella intercettazione», anche se – ha spiegato il direttore – L’Espresso non ne ha una copia ma ha solo potuto ascoltarla (e l’audio pare fosse disturbato) e ricopiarne il testo. Il sito Dagospia ieri ha riferito che l’editore del settimanale Carlo De Benedetti sarebbe assai preoccupato per l’evoluzione della vicenda (ma è giunta una smentita) e che il direttore avrebbe offerto le sue dimissioni; la reazione ufficiale del giornale è contenuta in una stringata nota: «La causa annunciata dai legali di Rosario Crocetta può diventare l’occasione processuale per comprovare la piena correttezza del comportamento dell’Espresso e per fare definitiva chiarezza sul quanto è avvenuto». Il presidente della regione querelerà anche Pietrangelo Buttafuoco, «per l’articolo pubblicato nei giorni scorsi sul Fatto Quotidiano», ha detto Lo Re. Nell’intervista di ieri al manifesto, Crocetta aveva fatto riferimento a un articolo di Buttafuoco del 3 luglio, precedente dunque alla vicenda della telefonata. La richiesta in questo caso è di un milione di euro. «Una parte di queste somme andrebbe in beneficenza», ha detto l’avvocato Lo Re, spiegando che «non si può parlare di giallo mettendo sullo stesso piano le dichiarazioni del procuratore Lo Voi e quelle del direttore dell’Espresso. Da qualche giorno Crocetta è diventato una sorta di silenzioso concorrente morale nell’ipotizzato tentativo di rimuovere Lucia Borsellino con metodi stragisti».

Ieri l’assemblea regionale siciliana ha respinto le dimissioni dell’unico deputato del Pd che ha fatto un passo in direzione dello scioglimento, Fabrizio Ferrandelli. Lo ha fatto con un solo voto di scarto ma Ferrandelli ha garantito che non cambierà opinione: «Non rientro nella casa del Grande fratello, sono loro che devono uscire, le mie dimissioni sono irrevocabili. A casa, al voto». La linea che si sta affermando nel Pd però è più prudente, e punta a evitare che si torni alle urne regionali già nel prossimo autunno, perché in questo caso la previsione facile è che il Movimento 5 Stelle potrebbe cogliere una facile vittoria. Meglio sarebbe per i democratici rinviare le elezioni alla prossima primavera. E in questo senso la exit strategy delineata dallo stesso Crocetta potrebbe tornare utile.

Ieri il presidente ha confermato quanto detto al manifesto, e cioè che è disponibile a lasciare a condizione di portare prima a compimento alcune leggi essenziali (su province, povertà e acqua pubblica) che possono essere entro poco tempo, anche un mese – ma ovviamente alla ripresa dopo l’estate. Un modo per allungare i tempi ma anche una via per non uscire sull’onda delle accuse. «Prima faccio le riforme poi do la mia disponibilità all’Assemblea siciliana per decidere se porre fine alla legislatura», ha detto Crocetta all’agenzia Ansa. «Se me ne devo andare lo farò per motivi politici e non per le false intercettazioni che hanno offeso non solo me, ma anche il parlamento e tutti i siciliani».