È una vittoria tanto imprevista quanto ambigua quella di Zoran Milanovic, l’ex premier socialdemocratico che domenica scorsa si è imposto sulla presidente uscente Kolinda Grabar-Kitarovic al secondo turno delle elezioni presidenziali in Croazia. Con il 52.6% dei voti il candidato di centrosinistra è riuscito a sconfiggere seppur di misura Grabar-Kitarovic, sostenuta dai nazional-conservatori dell’Hdz, ferma al 47.3%.

DECISIVO è stato soprattutto il voto nei centri urbani. Se nel resto del Paese c’è stato un sostanziale testa a testa tra i due candidati, in città come Zagabria, Split, Osijek è stato Milanovic a spuntarla. A Rijeka, città natia di Grabar-Kitarovic, il socialdemocratico ha addirittura sfiorato il 70% dei voti. Al contrario, nelle roccaforti del centrodestra si è registrato un calo dell’affluenza che ha penalizzato la presidente uscente.

Fino agli ultimi giorni i sondaggi davano i due candidati in sostanziale parità, con Milanovic in leggero vantaggio su Grabar-Kitarovic. E così è andata. All’inizio della campagna elettorale però nessuno avrebbe scommesso su questo esito, al punto che la vittoria di Milanovic potrebbe essere letta proprio come un voto di protesta contro la presidente uscente, la cui rielezione era data per scontata.

A DETERMINARE LA SCONFITTA della «donna del popolo», come suole definirsi, non è solo stata la serie di gaffe inanellate in campagna elettorale, ma soprattutto la rincorsa ai voti dell’estrema destra. In questo modo Grabar-Kitarovic puntava a recuperare i voti del candidato anti-establishment, l’ex cantante folk e fuoriuscito dell’Hdz Miroslav Skoro, che al primo turno si era piazzato terzo al 24.4%, mancando di poco il ballottaggio.

E così nel rush finale si è visto di tutto, anche il controverso endorsement alla presidente uscente di Juliette Busic che insieme al marito Zvonko Busic e ad altri tre nazionalisti croati, aveva dirottato nel 1976 un volo della Trans World Airlines per «sensibilizzare» l’opinione pubblica sulla questione dell’indipendenza della Croazia dall’allora Jugoslavia, dirottamento per il quale Busic è stata poi condannata all’ergastolo.

LA STRATEGIA di Grabar-Kitarovic però si è rivelata fallimentare. Da una parte non è riuscita a mobilitare estremisti e sovranisti, dall’altra non ha convinto il suo stesso elettorato, specie quello più moderato che in parte ha optato per Milanovic.

Un duro colpo per il governo di Andrej Plenkovic, leader dell’Hdz, che ha sostenuto seppur non convintamente, la candidatura di Grabar-Kitarovic. Un colpo per di più inflitto in un momento delicato per il suo esecutivo. Dal primo gennaio la Croazia ha assunto la Presidenza di turno del Consiglio dell’Ue. Un semestre, il primo a guida croata, importante per le numerose sfide che si troverà ad affrontare l’Europa, dalla Brexit, all’approvazione del bilancio pluriennale, al rilancio della politica di allargamento che sarà al centro del vertice Ue-Balcani in programma a maggio a Zagabria.

Il momento è ancor più delicato, inoltre, se si tiene conto che il prossimo autunno si terranno le elezioni politiche per il rinnovo del Parlamento. In quest’ottica le presidenziali hanno rappresentato un test significativo che da una parte ha evidenziato le profonde divisioni esistenti tra le diverse anime dell’Hdz, quella più estremista facente capo a Grabar-Kitarovic e quella più moderata guidata dallo stesso Plenkovic.

MA SE IL CIELO IN CASA Hdz è nuvoloso, non si può dire che a sinistra splenda il sole. La vittoria di Milanovic è lungi dal prefigurare un eventuale successo del centrosinistra alle politiche. L’esponente socialdemocratico ha infatti a sua volta puntato a strappare voti all’elettorato di centrodestra, facendo leva su un non meglio definito patriottismo 2.0 che combina elementi di modernità e tradizione.

In campagna elettorale le posizioni dei due contendenti sono apparse molto più appaiate di quanto non si creda, con un maggior accento di Milanovic sulla lotta alla corruzione e sulla riconversione verde dell’economia. Se questo basterà a convincere una società sempre più polarizzata e sempre meno entusiasta dell’ingresso in Ue, avvenuto solo sette anni fa, è però tutta un’altra storia.