Riguardo all’art. 138 della Costituzione c’è, nei presentatori e nei sostenitori del Ddl cost. 813 AS, un atteggiamento profondamente contraddittorio. Da un lato ritengono che l’art. 138 sia tuttora rispondente alle finalità di adeguare la Costituzione alle mutate istanze sociali e politiche; dall’altro, anziché applicare in tali ipotesi l’art. 138, predispongono, per le eventuali riforme costituzionali, uno specifico percorso alternativo: quello macchinoso disegnato dal Ddl. E ciò senza avvertire che, così facendo, delegittimano l’art. 138 e la stessa Costituzione.
Se il parlamento ritiene che l’art. 138 non sia adeguato ai tempi (dico il parlamento, perché il governo dovrebbe rimanerne estraneo) lo modifichi ma nel rispetto sia della rigidità costituzionale che della sovranità popolare. Non può invece, il parlamento, disapplicare una regola procedurale come l’art. 138 – una “regola del gioco” democratico come tale inderogabile e non bilanciabile con altri valori – e approvare, con una procedura diversa dall’art. 138, leggi il cui contenuto l’art. 138 non consente. Ciò invece accadrebbe se il Ddl venisse definitivamente approvato dalle camere.
L’art. 2 consente infatti di modificare tutti gli articoli relativi al Parlamento, al Presidente della Repubblica, al Governo, alle Regioni, Province e Comuni nonché le «disposizioni della Costituzione o di leggi costituzionali strettamente connesse». Luciano Violante in un intervista ha sostenuto che le leggi costituzionali sarebbero soltanto cinque. Sono già troppe, Violante sbaglia per difetto. Poiché sono 69 gli articoli potenzialmente modificabili, le leggi costituzionali approvate secondo il procedimento previsto dal Ddl potrebbero essere assai di più. E quindi si correrebbe il rischio o che vengano approvate poche leggi costituzionali dal contenuto disomogeneo oppure che ne vengano approvate più di tre (che è il numero massimo). In entrambi i casi, nell’ipotesi di una consultazione referendaria, la libertà di scelta di un elettore di non elevata cultura verrebbe pregiudicata.
Ma c’è di più. In entrambi i casi verrebbe modificato l’impianto su cui si regge l’ordinamento della Repubblica (l’intera Parte II). Il che non è comunque consentito, a prescindere dalla violazione o meno dell’art. 138. E ciò perché si tratterebbe dell’esercizio di un illecito potere costituente. Una evenienza che giustifica l’opposizione, mediante referendum. E tenete se il Ddl ottenesse il favore popolare e le leggi costituzionali da esso previste venissero poi approvate, ebbene in tale deprecabile ipotesi l’art. 138 non potrebbe più per il futuro dirsi “regola procedurale inderogabile”, e le modifiche costituzionali a grappolo potrebbero ritenersi del tutto legittime.
Noi tutti lottiamo per la difesa intransigente dell’art. 138 – che è poi la difesa della Costituzione – che non consiste in un problema “formale” (e secondario) come sostengono taluni degli appartenenti al comitato del c.d. Saggi. Noi non entriamo nella discussione di merito sulla modifica della forma di governo, sul superamento del bicameralismo paritario ecc. non perché intendiamo eludere quei temi trincerandoci dietro problemi “formali”, ma perché oggi quei problemi non sono ancora sul tappeto. Quando dovessero emergere li esamineremo con obiettività e senza alcun apriorismo.
E’ comunque falso che la battaglia in difesa del 138 significa che noi avremmo paura delle riforme. Anche se oggi sono qui presente come singolo e non come presidente dell’associazione “Salviamo la Costituzione”, devo però dirvi che non sarei il presidente di “Salviamo la Costituzione” se non ne condividessi il motto “aggiornarla non demolirla”. Io sono dispostissimo ad aggiornarla. Sono i sostenitori del Ddl quelli che vogliono demolirla.

*L’intervento alla manifestazione “La via maestra” di sabato 12 ottobre a Roma