La vicenda ‘Lucano’ e le levate di scudi che da più parti, all’interno della magistratura, si sono subito affacciate contro le critiche alla pesantissima sentenza di condanna pronunciata giovedì scorso, sono scene di un film già visto: la ‘cittadella della magistratura’, sentitasi attaccata e sotto assedio, innalza muri elevati e scava fossati profondi per separarsi dalla ‘civitas’, ripiegando su se stessa davanti alle critiche pubbliche alla sentenza, percepite quasi come ‘lesa maestà’.

Eppure, la ‘cittadella’ dimentica che in una democrazia costituzionale le critiche alle decisioni pubbliche, specie se autoritative, dovrebbero essere sempre salutate ed accolte con favore: come un segno di salute istituzionale e civica, dato che si tratta di uno strumento di controllo diffuso e popolare sull’esercizio dei pubblici poteri, incluso quello giudiziario.

La soggezione delle attività giudiziarie alla critica dell’opinione pubblica, anzi, rappresenta una delle principali garanzie di controllo sul funzionamento della giustizia. Ma vi è di più. A quanti, specie all’interno della magistratura, oppongono preconcette chiusure verso la critica pubblica ai provvedimenti giudiziari, occorrerebbe replicare ribaltando l’argomento dell’‘attacco’ alla indipendenza del giudiziario, evocato spesso in occasioni simili: ricordando, più in particolare, che il controllo dell’opinione pubblica sulle attività giudiziarie è un fattore essenziale non soltanto di responsabilizzazione democratica per i cittadini, ma anche di educazione dei giudici ad un costume di indipendenza.

Critica pubblica ed indipendenza della magistratura, in altri termini, sono legate a doppio filo, nel senso che la critica, ben più che ledere, contribuisce a rafforzare la cultura dell’indipendenza. All’apparenza, ciò potrà forse sembrare paradossale. Ma così non è. Tramite la critica pubblica e popolare alle attività giudiziarie – non quella generica e vaga, ovviamente, ma quella argomentata e documentata, rivolta a singoli giudici e a concreti provvedimenti – si rompe infatti la ‘separatezza’ del giudiziario dalla ‘civitas’, si favorisce l’emancipazione dei giudici dai vincoli politici, burocratici e corporativi, si delegittima la ‘cattiva’ giurisprudenza e si contribuisce, infine, ad elaborare e rifondare continuamente la deontologia giudiziaria.

La critica pubblica e il conseguente controllo popolare sulla giustizia rappresentano, d’altra parte, la seconda via che collega il potere giudiziario alla sovranità popolare, assieme a quella della garanzia dei diritti fondamentali: formalmente enunciati dalla Costituzione come appartenenti a tutti e ciascuno, ma concretamente inverati e sostanziati dalla loro possibilità di tutela e ‘giustiziabilità’.

Ecco perché alla critica della giurisdizione da parte dell’opinione pubblica i magistrati dovrebbero associare un valore: non soltanto da ‘tollerare’, ma anche e soprattutto da ‘praticare’ ed ‘esercitare’ essi stessi, sia come singoli che come gruppi. La critica pubblica ai provvedimenti giudiziari è quindi un fattore necessario ed essenziale: necessario per la vitalità democratica del nostro Paese, essenziale per il costume d’indipendenza del potere giudiziario.

* componente dell’esecutivo di Magistratura democratica