Il 20 gennaio scorso immagini satellitari mostrarono al mondo l’irrevocabile scomparsa del più antico monastero cristiano in Iraq: i bulldozer dello Stato Islamico, probabilmente qualche mese prima, avevano portato via le macerie di Mar Elia, polverizzato dall’esplosivo che i miliziani avevano collocato al suo interno. Alle porte di Mosul, aveva resistito a 1400 anni di storia.

Da due anni l’Isis, strenuo nemico di qualsiasi forma di paganesimo ritenga di incontrare sulla propria strada, colpisce le pietre come le vite. Distrugge monasteri, moschee sciite, siti archeologici, Palmira come Ninawa, ma distrugge anche l’esistenza stessa di etnie e confessioni considerate miscredenti. Cristiani, sciiti, yazidi, kurdi, anche sunniti che non accettano di piegarsi all’ideologia del “califfo” e all’aperta strategia di divisione messa in atto nel corridoio di terre che, da Aleppo a Diyala, dovrebbe costituire l’entità statuale islamista. A Mosul i pochi cristiani rimasti sono stati costretti a convertirsi o a pagare una tassa per avere salva la vita. Da Qaraqosh sono fuggiti in massa, in una notte, dopo i primi missili che annunciavano l’arrivo degli uomini di al-Baghdadi. Da tanti altri villaggi non hanno avuto modo di scappare e le notizie di decapitazioni di cristiani e rapimenti di religiosi hanno segnato questi due anni di occupazione.

A marzo il Congresso degli Stati Uniti ha dichiarato genocidio quello in corso contro i cristiani e le minoranze in Medio Oriente: «L’Isis commette genocidio per auto-dichiarazione, ideologia ed azioni – aveva detto all’epoca il segretario di Stato John Kerry – Daesh è responsabile di crimini contro l’umanità e di pulizia etnica diretta a determinati gruppi, in alcuni casi anche contro i sunniti stessi».

In Iraq come in Siria la millenaria coesistenza delle confessioni religiose è un ricordo sbiadito. Nella piana di Ninawa le prime conversioni al cristianesimo risalgono al primo secolo dopo Cristo, arabi discendenti dalla popolazione assira della Mesopotamia insediatisi tra il Tigri e l’Eufrate. Quella che ancora oggi definiamo la culla della civiltà. Siriaci, caldei, assiri erano divisi in 230 villaggi, oggi quasi tutti svuotati. Ma è l’Iraq ad essersi svuotato: dalla caduta di Saddam Hussein, nel 2003, per mano dell’invasione statunitense, del milione e mezzo di cristiani iracheni ne restavano già nel 2014 solo 500mila. E oggi? Sarebbero 275mila, secondo l’ultimo rapporto pubblicato a primavera dall’associazione In Defence of Christians. C’è chi è fuggito all’estero, chi oggi è nei campi profughi a Erbil o a Baghdad, un destino lontanissimo dagli anni del partito Baath, quando i cristiani occupavano posti di rilievo in politica e economia.

Non molto dissimile la situazione in Siria, regione in cui la presenza cristiana è tra le più antiche, dove si dice che Paolo si convertì sulla via per Damasco: ortodossi, armeni, cattolici, siriaci, melchiti, caldei, prima della guerra civile i cristiani rappresentavano il 10% della popolazione, quasi due milioni di persone di cui oggi se ne contano solo 500mila. Scappati, anche loro, dall’avanzata dello Stato Islamico che ha occupato in poco tempo un terzo del paese e soltanto in questi mesi comincia ad arretrare sul terreno, ma non nella strategia militare e di propaganda. In molti hanno trovato rifugio nel centro del paese e lungo la costa, zone controllate dal governo del presidente Assad dove si sentono protetti.

Tra le città più colpite c’è Aleppo, primo centro economico e culturale della Siria, oggi ombra dello splendore che fu: solo un quarto della popolazione cristiana che qui risiedeva prima del 2011 è ancora presente, 40mila persone su 160mila. Gli altri hanno lasciato la propria terra, Aleppo e la Siria, per le violenze ideologiche dei gruppi islamisti di opposizione che occupano parte della città. Eppure per lungo tempo i cristiani siriani sono stati parte integrante dell’élite economica, politica e militare del paese, membri dei partiti laici, nazionalisti e socialisti. Il filosofo Michel Aflaq, considerato il fondatore del partito Baath di cui è parte la famiglia Assad, era cristiano.