Si è presentato in tribunale ammanettato e in divisa da detenuto, con un ghigno stampato in faccia e davanti al giudice non ha parlato, ma ha unito le dita a formare una sorta di ok, simbolo nato online con cui l’alt-right vorrebbe identificare il suprematismo bianco. Brenton Tarrant – dopo aver guidato un commando di quattro persone che venerdì mattina (tarda notte in Italia) a Christchurch, in Nuova Zelanda, ha preso d’assalto due moschee, ha ucciso 49 persone e ne ha ferite 48 – è stato rinviato in custodia, senza passare per l’Alta Corte, al 5 aprile prossimo. Fin qui il versante giudiziario, che tra le altre cose ha visto l’arresto di altri due uomini e una donna, complici di Tarrant.
Per il resto, la Nuova Zelanda è un paese che sta vivendo giorni complicati e molto tesi: qui l’allarme terrorismo è piuttosto basso, e in questo senso il gesto di Tarrant non è stato casuale. Il terrorista voleva dimostrare che una strage del genere può avvenire ovunque, anche dove appare improbabile. E dunque l’allerta resta alta, sia lungo le frontiere sia per quello che riguarda il traffico aereo. La premier Jacinda Arden, dopo aver definito senza mezzi termini il gesto di Tarrant come terrorismo, ha annunciato che è sua intenzione rivedere la legge sul possesso delle armi semiautomatiche: d’altra parte il commando si era armato fino ai denti in maniera del tutto legale, comprando mitra e munizioni in negozi in cui la vendita è sostanzialmente libera.

Tarrant ha colpito all’improvviso, annunciando quello che avrebbe fatto solo pochi minuti prima di agire attraverso delle email e dei post online, ma l’idea di fare una strage risale almeno a due anni fa quando visitò la Francia, la Spagna e il Portogallo, e rimase sconvolto dalla notizia di un attentato a Stoccolma, quando un uomo vicino all’Isis uccise cinque persone investendole con un camion. Non solo, a quanto scrive il New York Times, un uomo con il nome di Brenton Tarrant avrebbe anche visitato il Pakistan lo scorso ottobre.

Tarrant ha 28 anni, è cresciuto in una famiglia di estrazione sociale medio-bassa e ha vissuto un’infanzia che lui stesso definisce «normale e senza problemi». Non ha fatto l’università, si è barcamenato con qualche lavoretto saltuario e ha racimolato qualche soldo online grazie alle criptovalute. Ecco, è proprio nelle periferie di internet che Tarrant si è formato politicamente: in forum come 4chan e 8chan, dove l’alt-right lavora a ciclo continuo, producendo meme, fake news e tirate ideologiche etnonazionaliste, cioè volte a sostenere la causa dell’uomo bianco contro tutti i suoi (molto presunti) nemici.

In questo senso l’attentatore di Christchurch sembra un prototipo: maschio, bianco, sulla trentina, arrabbiato perché pensa che la società lo stia mettendo ai margini e che allora si foga online contro i neri, i musulmani, le donne, la sinistra più o meno radical e più o meno liberal. Il suo manifesto, intitolato «The Great Replacement», dopo delle brevi note biografiche, è strutturato come un insieme di domande e risposte sulle sue tesi, per lo più incentrate, come da titolo, sulla sostituzione dei popoli europei (o di derivazione europea) con i musulmani, che in questo immaginario arrivano come un’orda attraverso i flussi migratori.
Tra i suoi idoli, oltre a Anders Breivik e ad antichi condottieri che hanno fatto la guerra con gli Ottomani, c’è anche l’italiano Luca Traini, l’uomo dell’attentato di Macerata del febbraio 2018, che adesso chiede di non essere associato in alcun modo a Tarrant ma che in fin dei conti ha cercato di fare la stessa cosa, sia pure in misura minore.
Il resto è un insieme di parole e pratiche comprensibili quasi solo agli iniziati del gergo del sottobosco di internet: il sito Bellingcat.com ha analizzato sia il manifesto sia il video di 17 minuti in cui si vede Tarrant sparare e abbattere persone nella moschea, e ha elencato tutti i vari riferimenti a un mondo noto soltanto a pochi e sul quale però diversi leader politici occidentali, da Donald Trump a Matteo Salvini, fanno spesso leva, portandone a galla i temi e le tesi a beneficio del grande pubblico.

Non è follia quella di Trannant, ma il frutto di una campagna politica che viene da lontano, che soffia sul fuoco dell’odio e che all’improvviso lo fa diventare un incendio. A forza di blaterare frasi come «non tutti i musulmani sono terroristi, ma tutti i terroristi sono musulmani», va a finire che qualcuno ci crede davvero. E un giorno magari decide di prendere il mitra e risolvere il problema da solo..