Allo scalo militare di Rzeszow, sudest della Polonia, i primi soldati americani sono atterrati ieri. Arrivano da Fort Bragg, in North Carolina, e fanno parte del contingente che il capo della Casa Bianca, Joe Biden, ha inviato per rendere più solido il fianco orientale dell’Alleanza atlantica, e in fin dei conti per chiarire alla Russia e ai suoi stessi alleati che gli Stati Uniti non hanno alcuna intenzione di rivedere gli impegni assunti con l’Europa, come hanno ribadito in settimana il Dipartimento di Stato e quello della Difesa.

RZESZOW OCCUPA un punto strategico nelle mappe della regione. Si trova a meno di cento chilometri da Lviv e rappresenta l’avamposto della Nato prima del confine con l’Ucraina. Nel complesso in Polonia arriveranno mille marine nei prossimi giorni. Non è il “Fort Trump” che il governo di Varsavia avrebbe voluto costruire quando il presidente americano era, appunto, Donald Trump, ma poco ci manca. Altri mille uomini gli Stati Uniti hanno deciso di inviarli in Germania. E mille saranno trasferiti dalle basi tedesche alla Romania. È soltanto l’inizio di una operazione più vasta, perché nel complesso i soldati in allerta sono 8.500.

Intanto ieri, siamo alle manovre da giorni in corso, una coppia di bombardieri russi Tu-22M3 ha effettuato un pattugliamento nei cieli della Bielorussia interagendo, ha fatto sapere il ministero della Difesa russa «con l’aeronautica e la Difesa di Minsk durante la missione di quattro ore».

«QUALSIASI ULTERIORE aggressione da parte della Russia sarà accolta con una risposta ferma e sanzioni economiche», ha detto il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, dopo un confronto telefonico con il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. La parte diplomatica del lavoro la stanno svolgendo il presidente francese, Emmanuel Macron, e il cancelliere tedesco, Olaf Scholz. Il primo sarà a Mosca e poi a Kiev domani e dopodomani. Il secondo ripeterà il copione la settimana successiva. Per quel che riguarda Stoltenberg, è ormai ufficiale che lascerà il posto a settembre per assumere la guida della Banca centrale norvegese. Tutti per ovvie ragioni sperano che termini il mandato senza una guerra. E finora occorre dire che i suoi allarmi sono stati smentiti dai fatti: le truppe russe sono ferme nello stesso punto da dieci mesi. Nessun avanzamento. Nessun attacco. A Mosca considerano le tesi riportate quotidianamente dai grandi network dell’informazione come una campagna che serve a giustificare la fornitura di armi a Kiev. Il ministro della Difesa ucraino, Oleksii Reznikov, ha detto venerdì che il paese ha già ricevuto 85 tonnellate di aiuti militari solo dagli Usa.

I SEGNALI SULLA STAMPA sono in effetti singolari. Bloomberg ha trasmesso ieri sul suo internet la notizia dell’invasione russa. «Prepariamo titoli per molti scenari, e quello sull’invasione della Russia è stato pubblicato per errore», era scritto in serata sul portale. «D’ora in avanti useremo l’espressione ‘bloomberg news’, anziché fake news”, ha detto ironicamente il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov. Di questa fase paradossale la prima vittima sembra il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky. Nelle scorse settimane ha dovuto ridimensionare sulla scorta di prove concrete i rapporti della Nato e degli Stati Uniti, e per questo riceve critiche sferzanti sulla stampa internazionale. Ieri il Financial Times, ricordando i suoi trascorsi come attore comico e la scarsa esperienza politica, ha insinuato che non stia difendendo il paese: semplicemente recita. Questo genere di critica, a Kiev, è solitamente espresso dagli ultra nazionalisti.

Non si tratta, peraltro, del solo incrocio fra gli ambienti liberal della società globale e l’estrema destra ucraina. Con due distinte iniziative Stati Uniti e Canada hanno chiesto negli ultimi giorni a Zelensky di fermare il caso giudiziario che riguarda il suo predecessore, Petro Poroshenko, tornato in patria un paio di settimane fa e che deve rispondere ad accuse di tradimento. Nel periodo alla guida del Paese, fra il 2014 e il 2019, avrebbe concluso accordi energetici con le province ribelli di Donetsk e di Lugansk, che prima dell’indipendenza erano il motore industriale dell’Ucraina. Quegli accordi sono ritenuti illegali, e Poroshenko rischia l’arresto e il carcere.

È L’ESATTA SORTE TOCCATA a Yulia Timoshenko quando Viktor Yanukovich è salito al potere: esistono, insomma, elementi di continuità nel paese, nonostante rivolte e rivoluzioni. Le pressioni più forti su Zelensky arrivano dai canadesi. Il premier, Justin Trudeau, e la sua numero due, Chrystia Freeland, hanno contatto personalmente le massime autorità ucraine. «L’arresto di Poroshenko manderebbe un messaggio antidemocratico al mondo, e minerebbe gli sforzi del fronte schierato contro la minaccia russa», hanno fatto sapere fonti vicine a Freeland, che ha origini ucraine, e per la causa nazionale s’impegna ben oltre i normali canoni della diplomazia.