Le sanzioni americane sono «illegali e illegittime» e non possono durare a lungo. Così si è espresso il ministro degli esteri russo Lavrov alla 10a conferenza degli ambasciatori tenuta ad Ankara. Accanto a lui il ministro degli esteri turco Cavusoglu che ha rincarato: «Quest’era di bullismo deve avere termine». Trova così nuovo vigore e solidarietà il fronte politico antiamericano, accomunato dall’essere bersaglio delle sanzioni decise dall’amministrazione Trump.

Ma l’idillio russo-turco è anche fragile: Lavrov è venuto in Turchia soprattutto per discutere di Siria. La Russia ha rinnovato il sostegno a Damasco che si prepara a settembre per l’operazione militare a Idlib, l’ultima roccaforte delle opposizioni, dove l’esercito turco ha costruito 12 punti di osservazione in ossequio agli accordi trilaterali di Astana.

Lavrov stesso ammette che la situazione sul campo è «complicata, ci sono migliaia di miliziani armati nell’area». Cavusoglu tenta la mediazione, sollevando timori su un massacro che coinvolga i due milioni e mezzo di siriani nella regione. «Dobbiamo lavorare di intelligence per separare i terroristi dal resto della popolazione». Ma è sulla definizione di terrorismo che Russia e Turchia non hanno ancora trovato un accordo.

Intanto però Erdogan incassa il sostegno russo e torna all’attacco degli Stati uniti, annunciando una campagna di boicottaggio dei prodotti dell’elettronica americana.

«Diventeremo autosufficienti, produrremo ciò che ci manca, esporteremo ciò che oggi dobbiamo comprare costruendo versioni migliori. Apriremo fabbriche e creeremo più lavoro». Più facile a dirsi che a farsi, specialmente oggi che la disposibilità di finanziamenti si è prosciugata rispetto agli anni felici del boom economico turco. E sul fronte diplomatico Turchia e America continuano a scambiarsi cannonate.

Fallito anche il tentativo di mediazione tra l’ambasciatore turco negli Usa Serdar Kilic e il consigliere della Casa bianca John R. Bolton. Gli americani rifiutano ulteriori negoziati fino a che non sarà rilasciato il pastore americano Brunson.

Trump ritiene di aver già fatto la sua parte ottenendo da Israele il rilascio dell’attivista turca Ebru Ozkan, arrestata con accuse di terrorismo. E nel frattempo ha firmato l’ordine di blocco per 90 giorni delle vendite dei caccia F-35 e dei ricambi per altri mezzi militari alla Turchia. A pesare sulla decisione lo stallo politico, ma anche l’aumento della possibilità che Ankara non sia in grado di far fronte ai pagamenti.

Intanto la giornata di ieri ha rappresentato per la lira turca una boccata d’ossigeno: ha recuperato terreno nei confronti dell’euro e del dollaro. I provvedimenti lanciati lunedì dalla Banca centrale turca hanno rasserenato un poco l’ambiente, con lo sblocco di meccanismi che hanno agevolato le banche assetate di liquidità.

Nessun segnale però del tanto richiesto rialzo dei tassi d’interesse: le misure prese non sono sufficienti a giustificare da sole il recupero della moneta turca. Più probabile che sia arrivato il sostegno di alcuni paesi. Il Kuwait, dove si è recato il ministro dell’economia Albayrak, avrebbe immesso nell’economia turca 1,6 miliardi di dollari. Una voce però smentita dalle autorità turche.

Anche alcuni paesi dell’Unione europea potrebbero voler sostenere la Turchia, dato il coinvolgimento di banche europee negli affari turchi e in generale l’importanza che l’economia anatolica riveste per il vecchio continente.

Nel frattempo però le banche turche si preparano al peggio e l’autorità bancaria centrale ha emanato misure restrittive sull’uso delle carte di credito per l’acquisto rateizzato di beni di consumo, in particolare di materiale elettronico. Segno che la tempesta è tutt’altro che finita.