L’annuale rapporto sul benessere globale di Credit Suisse certifica che in Italia la ricchezza media è cresciuta del 5,6% nel corso del 2012, evidenziando che ovunque in Europa il trend si collega alla ripresa dei mercati finanziari. Mentre la stragrande maggioranza dei cittadini europei continua a subire un deterioramento delle condizioni di vita imposto dalle politiche d’austerità, i pochi soggetti «liquidi» hanno potto beneficiare della nuova bolla che si sta gonfiando sui mercati finanziari.

Il combinato di politiche recessive e di aumento massiccio della massa monetaria in circolazione ha come conseguenza un ennesimo incremento delle disuguaglianze, col risultato che in Italia nel 2012 sono «spuntati» 127 mila nuovi milionari mentre si sono persi 500 mila posti di lavoro.

Ciò che Credit Suisse non dice è che austerità e crescita dei mercati finanziari sono due facce della stessa medaglia. Un meccanismo di espropriazione delle risorse e del risparmio che si sviluppa in assenza di un pensiero alternativo, come confermato anche dalle vicende sindacali nostrane e dal «blando» sciopero di 4 ore indetto da Cgil, Cisl e Uil. I sindacati confederali continuano a cercare una sponda politica per variare semplicemente i saldi della manovra, richiedendo un non meglio definito aumento della capacità di programmazione pubblica e risorse per gestire l’emergenza nelle aziende in crisi.

Insomma, enunciazioni di principio non solo insufficienti, ma che soprattutto mancano clamorosamente di profondità d’analisi. In effetti, i dati di Credit Suisse sono semplicemente la conferma che -come ha sostenuto recentemente Emiliano Brancaccio- discutere di qualsivoglia politica senza porre al centro la necessità di arrestare i capitali oggi liberamente circolanti sui mercati è pura utopia.

Se la crisi non è una punizione divina ma il frutto di determinate scelte politiche, e se, come sostenuto anche dal segretario della Fiom Landini, essa si accompagna ad una crisi del ruolo sindacale, è evidente che la difesa di chi un lavoro ce l’ha, e di chi non lo avrà o non lo ha più, deve ripartire dalla contestazione delle logiche di fondo del liberismo al tempo della crisi. Il tutto, a partire da prese di posizione forti sul controllo dei capitali e il dumping salariale, sul rifiuto della logica delle privatizzazioni, e per un nuovo ruolo, sociale e non finanziario, per Cassa Depositi e Prestiti, per i fondi pensione negoziali, per i risparmi dei lavoratori. Servirebbe insomma lucidità d’analisi e coraggio nelle rivendicazioni a partire dall’elaborazione di pensiero autonomo in materia di finanza pubblica.

Al contrario, gran parte del mondo sindacale si appiattisce sul presente, non elabora più strategie autonome e cerca l’impossibile, provando a declinare concetti costruiti per giustificare interessi di parte, e non di quella dei lavoratori, in modo più «laburista». Ecco la crisi del sindacato: più che di rappresentanza, di rappresentazione del reale.