Il vertice dei capidelegazione è stato infine convocato per stasera. Dovrebbe essere il momento della verità. Senza un accordo, che al momento pare impossibile, la rottura si consumerà il giorno dopo nel cdm e poi pubblicamente nelle aule parlamentari. Senza intesa con Renzi, Conte si presenterà prima alla Camera, probabilmente tra martedì e mercoledì, per incassare un fiducia piena, e poi al Senato, dove il responso della pallottoliere è ben diverso.

A PALAZZO MADAMA, secondo i conti di palazzo Chigi, il governo dovrebbe ottenere tra i 154 e i 156 voti, tanti da far sperare in una vittoria di stretta misura. Si tratterebbe però di un governo di minoranza, costretto a una vita difficilissima soprattutto nelle commissioni dove una Iv passata all’opposizione farebbe pesare a piacimento il piatto della bilancia. In questa situazione, il premier salirebbe al Colle per riferire al capo dello Stato e decidere le mosse successive, che al momento sono circondate da nebbia fittissima.

NON È LA STRADA CHE PIACE di più al Colle, anzi è forse la meno gradita, e non è la strada che piace di più al Pd che fa il possibile per farlo capire con il vicesegretario Orlando e il capo dei deputati Delrio che insistono per «una soluzione all’interno della maggioranza». Ma la sola alternativa sembra essere un passo indietro di Iv che invece sceglie la via opposta: quella del bombardamento a tappeto. Rimette in campo con il massimo volume di fuoco la cessione della delega ai servizi, legandola ai rapporti con Trump e al «caso Barr» dell’estate 2019. «Oggi più che mai è necessario che Conte lasci la delega»,dicono dal quartier generale di Renzi e lo stesso leader fa filtrare parole pesanti sulla «necesità di far chiarezza sulla visita di Barr» l’attorney general che nel quadro del Russiagate incontrò in segreto i servizi italiani.

La battaglia di Capitol Hill offre a Renzi un’altra arma, con l’accusa, condivisa anche dal Pd e rivolta al capo del governo, di non aver criticato apertamente il presidente uscente nei commenti sull’attacco alla sede del Congresso americano. Sul Mes, con un Renzi tassativo: «Bisogna prenderlo». Ma anche sulla materia principale del contendere, il Recovery Plan, il bicchiere è più vuoto che pieno. Ufficialmente la ministra Bellanova dice di volerlo studiare a fondo. Ma a porte chiuse i dirigenti renziani sostengono che la ridda di cifra sia volutamente confusa, troppo per indicare una direzione chiara. Senza contare l’irritazione per il mancato invito ai vertici bilaterali con Gualtieri del giorno prima. Per la Bellanova è la prova che esiste «una maggioranza nella maggioranza». Il governo si giustifica con la posizione espressa dalla Boschi in una telefonata con Gualtieri: essendosi Iv detta non interessata a discutere senza il testo, che in quel momento non era pronto, non c’era motivo di convocare la delegazione renziana. Ma sono particolari. Comunque sia andata, la vicenda segnala che i rapporti tra governo e Iv hanno probabilmente superato il punto di non ritorno.

MA LA SFIDA IN AULA è di per sé un salto nel buio. Se Conte sarà battuto dovrà uscire di scena e risolvere la crisi diventerà impresa difficilissimo. Se vincerà di misura dovrà decidere, con Mattarella, se provare a governare in condizioni impossibili oppure se dimettersi comunque, in modo da ottenere il reincarico partendo da una condizione di forza. Non è un calcolo privo di senso ma sconta un limite enorme: riformare la stessa maggioranza dopo una sfida all’ultimo voto in aula sarà più o meno impossibile. In tutti i casi, dunque, la conta avvicina il baratro delle elezioni anticipate nel momento peggiore. Anche per questo il Pd insiste perché Conte eviti la battaglia e anticipi le dimissioni, per mantenere la possibilità di dar vita a un Conte ter con la stessa maggioranza. Solo che ogni tentativo di impostare una crisi pilotata sbatte contro le reciproche diffidenze.

QUELLA DI CONTE, CHE TEME di essere fatto fuori un secondo dopo essersi dimesso. Quella del Pd, che vuole soffocare la tentazione di un governo tecnico di unità nazionale prima che prenda corpo. Quella dei 5S, spaventati da un governo Conte ter che comunque sarebbe nelle mani di Renzi. Dunque tutti assicurano che la sola alternativa a Conte sono le elezioni anticipate e questo promettono di dire a Mattarella dopo il sempre più probabile showdown in Parlamento. Ma è anche vero che di solito quello che si dice prima di una crisi è destinato a essere dimenticato quando la crisi si concretizza.