«Abbiamo parlato apertamente ed è stato un buon dialogo» dice Ursula von der Leyen al termine dell’incontro avuto ieri a Bruxelles con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan.
La presidente della Commissione Ue evidentemente ha deciso di vedere il bicchiere mezzo pieno, dal momento che il vertice che avrebbe dovuto sbloccare almeno in parte la crisi dei rifugiati innescata dieci giorni fa dallo stesso Erdogan in Grecia, non sembra essere andato come forse i vertici delle istituzioni europee speravano. «Abbiamo dei disaccordi», è costretta ad ammettere von der Leyen. «C’è ancora del lavoro da fare», le fa eco più diplomaticamente il presidente del consiglio Ue Charles Michel, reduce anche lui dall’incontro con Erdogan.

Quando ormai è sera sembra di capire che sul tavolo sarebbe rimasta senza risposta la gran parte dei problemi sollevati dal presidente turco. Primo fra tutti l’accordo siglato nel 2016 per fermare i migranti, accordo che Erdogan ha già dichiarato morto e che vorrebbe ritrattare, specie per quanto riguarda la parte economica. L’Unione europea «ha riconosciuto la responsabilità che si è assunta la Turchia sulla presa in carico dei migranti e discusso l’implementazione dell’accordo», spiega Michel. Se le voci circolate nei giorni scorsi sono vere, Bruxelles ha messo sul piatto 500 milioni di euro in aggiunta ai sei miliardi di euro già promessi quattro anni fa, ma la cifra deve essere stata ritenuta insufficiente da Erdogan tanto da far partire una trattativa parallela.

Con Erdogan, spiega Michel, è stato deciso di «dare mandato a Josep Borrell (il rappresentate della politica estera dell’Ue, ndr) e alla sua controparte turca, ciascuno con una squadra, di lavorare nei prossimi giorni per chiarire l’attuazione dell’accordo tra Ue e Turchia in modo da avere la stessa interpretazione».

Altra questione sulla quale Ue e Turchia restano distanti è quella siriana. Michel e von der Leyen hanno garantito il massimo impegno «a trovare una soluzione politica» alla crisi e a intervenire «sul piano umanitario a Idlib», ma non avrebbero rassicurato Erdogan sui due punti che maggiormente lo interessavano, come un appoggio per la creazione di una non fly zone su Idlib e la costituzione di un’area cuscinetto lungo in confine turco-siriano dove trasferire una parte dei profughi che si trovano in Turchia. C’è però, in compenso, l’impegno di entrambe le parti a rivedersi per nuovi colloqui.

Intanto l’Europa si muove in aiuto almeno dei piccoli profughi. Francia, Portogallo, Lussemburgo, Finlandia, Germania e Croazia hanno infatti deciso di accogliere i minori che si trovano nei campi sulle isole greche dell’Egeo. Per ora si tratta di un numero compreso tra i 1.000 e i 1.500, soprattutto ragazze, bambini che hanno bisogno di cure urgenti e minori di 14 anni non accompagnati. Una goccia rispetto ai circa 14.000 minori che secondo le ong si trovano sulle isole, ma pur sempre un primo passo. «Vivono in una situazione gravissima, e bisogna portarli via dalle isole», ha spiegato von der Lyen annunciando un suo nuovo viaggio in Grecia per giovedì. Nello stesso giorno per il premier greco Kyriakos Mitsotakis, che ieri si trovava a Berlino per un vertice con la cancelliera Merkel, «sarà possibile adottare un accordo sul ricollocamento volontario» dei minori.

Come già successo a Malta con i profughi, si cerca adesso di dar vita a un nuovo gruppo di «Paesi volenterosi» disposti questa volta ad accogliere solo i minori. L’iniziativa è frutto di un proposta fatta nell’ultimo vertice dei ministri dell’Interno dal tedesco Horst Seehofer, ma è stata approvata la scorsa notte a Berlino da un accordo siglato tra i vertici della Grande coalizione che governa il Paese dal 2018. Nel frattempo si sono aggiunti i primi cinque Paesi. «Non vedo chi potrebbe opporsi all’idea di aiutare dei bambini che si trovano in questa situazione», ha commentato ieri il premier croato Andrej Plenovic, presidente di turno dell’Ue, facendo forse mostra di un eccessivo ottimismo. Più di un Stato membro, specie tra quelli del Nord Europa, si sarebbe infatti detto contrario all’ipotesi di nuovi ricollocamenti , anche se riguardano solo dei bambini.