Le attività umane sono, sempre di più, nella morsa degli eventi climatici estremi. Si parla di “maltempo” per indicare una serie di fenomeni che si manifestano con intensità: pioggia, vento, grandine. Ma il maltempo di questi giorni, segnato da inondazioni, frane, perdita di vite umane, è la conseguenza devastante dei cambiamenti climatici in atto. Ma anche l’espressione “cambiamento climatico”, forse, non è più sufficiente a definire quello che sta avvenendo, può dare l’idea di un fenomeno neutro, senza implicazioni. In realtà, siamo di fronte a una crisi climatica sempre più acuta, con sconvolgimenti climatici che hanno un grande impatto su tutte le attività economiche, sulla vita quotidiana delle persone, influenzano le nostre abitudini e il nostro stato di salute.

Sono la frequenza, l’intensità e la durata dei fenomeni a definire gli eventi estremi, con variazioni di temperatura e precipitazioni che determinano un alternarsi di siccità, ondate di calore, alluvioni. Se l’estate italiana di quest’anno si era caratterizzata per le cinque ondate di calore che avevano colpito territori e popolazioni, ora sono le piogge torrenziali e le inondazioni a lasciare il segno. Nessuna zona dell’Italia è stata risparmiata. A Genova il 22 novembre sono caduti 193 mm di pioggia in tre ore, in alcune zone della Liguria e del Piemonte sono stati rilevati più di 500 mm in 24 ore, a Reggio Calabria il 24 novembre un nubifragio abbattutosi sulla città ha prodotto 100 mm in meno di un’ora, con la formazione di una massa d’acqua che ha invaso il centro della città. Un millimetro di pioggia equivale a un litro per metro quadrato. Quando su un territorio urbano, cementificato e impermeabilizzato, cadono in poche ore 200-300 litri di pioggia per metro quadrato, l’acqua non ha possibilità di essere assorbita e finisce per allagare strade e case. Gli allarmi meteo, che i comuni lanciano sempre più spesso, rappresentano anche una dichiarazione di impotenza rispetto a fenomeni difficilmente controllabili.

Sempre più frequentemente si determinano condizioni che favoriscono lo sviluppo di violenti temporali, col rilascio di grandi quantità d’acqua che non viene assorbita dal terreno e che va a confluire con rapidità nei corsi d’acqua. Le analisi sui dati fluviali dimostrano che il cambiamento climatico sta influenzando anche la capacità dei fiumi di smaltire le acque, con fenomeni sempre più frequenti di esondazioni e alluvioni. Il recente report di Legambiente sull’impatto dei cambiamenti climatici in Italia, evidenza che nel 2018 il nostro paese è stata colpito da 148 eventi estremi che hanno causato 32 vittime e più di 4500 sfollati.

Dal 2010 ad oggi sono state 190 le persone vittime del “maltempo”. Nello stesso periodo sono stati 437 i fenomeni meteorologici che hanno provocato danni al territorio italiano (allagamenti, inondazioni, frane, trombe d’aria) con 264 comuni che hanno subito danni rilevanti. In particolare, si sono verificati 140 casi di allagamenti dovuti a piogge intense, 62 inondazioni dovute alla esondazione dei fiumi, 80 eventi con gravi danni causati da trombe d’aria. Un tributo di vite e di devastazioni del territorio che si rinnova di anno in anno. Siamo di fronte a manifestazioni climatiche sempre più imprevedibili e incontrollabili su un territorio che ha visto diminuire negli ultimi 25 anni la superficie coltivata del 28%. Lo spopolamento della fascia appenninica e l’abbandono delle coltivazioni hanno favorito i processi di erosione del suolo e accentuato quel dissesto idrogeologico che ha sempre segnato la vita delle comunità montane. Nel 2014 era stata approvata la “Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici” a cui doveva seguire il “Piano nazionale di adattamento”. Ma dopo 5 anni non esiste ancora alcun piano per la messa in sicurezza del territorio. Sono le grandi città, Roma, Milano, Genova, Napoli, Palermo, Catania, Bari, ad aver subito il maggior numero di eventi meteorologici estremi e a mostrarsi impreparate ad affrontarli. L’Italia, per la sua posizione, è la più esposta ai cambiamenti climatici che stanno caratterizzando tutto il bacino del Mediterraneo. La tendenza alla tropicalizzazione determina una maggior frequenza di manifestazioni violente, precipitazioni brevi e intense, bruschi cambiamenti di temperatura, grandinate più frequenti e intense, tempeste di vento, trombe d’aria, sfasamento delle stagioni.

L’aumento della temperatura del mare Mediterraneo sta determinando l’immissione nell’atmosfera di una quantità maggiore di energia, con la conseguenza di aumentare l’intensità dei fenomeni temporaleschi e favorire la formazione di trombe d’aria. Lo scontro tra le masse d’aria fredda che provengono dal nord Europa e quelle più calde presenti sul bacino mediterraneo innescano i fenomeni più violenti. L’area del Mediterraneo registra da anni un aumento delle trombe d’aria e delle trombe marine, che in queste settimane hanno fatto la loro comparsa nel golfo ligure, nel litorale laziale e toscano, nel Salento, nella pianura veneta.

Il Cnr ha costruito una mappa che mostra che negli ultimi 10 anni l’Italia è stata colpita, in media, da 37 trombe d’aria e 71 trombe marine. Anche se non raggiungono la forza e le dimensioni dei tornado tropicali, rappresentano un altro degli eventi meteorologici estremi con cui dovremo convivere. Il consumo di suolo è un altro fattore che contribuisce a determinare i cambiamenti climatici e a rendere più fragili i territori. Secondo l’ultimo rapporto dell’Ispra, nel 2018 in Italia sono stati coperti da cemento o asfalto 51 chilometri quadrati di territorio, in media 14 ettari al giorno e la metà della perdita di suolo si concentra nelle aree urbane. Roma ha impermeabilizzato, nel 2018, 75 ettari dell’area comunale e Milano 11,5 ettari. Se la superficie naturale si riduce, aumentano gli effetti negativi sul territorio. Secondo l’Ispra negli ultimi 6 anni in Italia il consumo di suolo ha determinato la perdita di superfici che avrebbero assicurato l’infiltrazione di 250 milioni di metri cubi di pioggia, che non potendo essere assorbita scorre in superficie, contribuendo agli allagamenti, inondazioni, alluvioni.

I dati dell’Ispra mostrano, inoltre, che l’Italia ha speso negli ultimi 20 anni 5,6 miliardi di euro per la progettazione e realizzazione di opere di prevenzione del rischio idrogeologico, a fronte di 20 miliardi di euro spesi per riparare i danni causati dal dissesto idrogeologico. Il rapporto tra prevenzione e riparazione è di 1 a 4 e la dice lunga sullo stato di abbandono in cui versa il territorio italiano. L’agricoltura sta pagando il prezzo più alto per i fenomeni di queste settimane: vigneti e frutteti devastati, ortaggi distrutti, serre e capannoni gravemente danneggiati. Nei terreni allagati non è possibile effettuare alcun tipo di lavorazione e le tradizionali semine autunnali sono compromesse. In questo periodo dell’anno, in tutta Italia, è la semina del grano l’operazione più importante, ma l’allagamento dei terreni la impedisce e dove si è già seminato le piantine soffocano per la troppa acqua.

Secondo la Coldiretti il “maltempo” è costato all’agricoltura italiana nell’ultimo decennio 14 miliardi di euro, tra perdita della produzione agricola e danni alle infrastrutture. L’Istituto di Scienze atmosferiche e del clima di Zurigo ha esaminato i dati sulla piovosità, rilevati da 185 stazioni meteorologiche sparse sul pianeta, per un periodo che va dal 1994 al 2014. Questa analisi della piovosità mostra un fenomeno che suscita grande preoccupazione: metà delle precipitazioni annue, in termini di quantità, si distribuiscono in 12 giorni e i tre quarti in 27 giorni. I cambiamenti climatici stanno determinando una distribuzione della pioggia in periodi di tempo sempre più concentrati. Un fenomeno carico di conseguenze perché assisteremo sempre di più a stagioni in cui i lunghi periodi di siccità verranno interrotti da piogge torrenziali. Col risultato che in alcune aree si accentueranno i processi di desertificazione, mentre in altre prevarranno i fenomeni alluvionali.