«Fnsi e ordine dei giornalisti rappresentano solo loro stessi e la piccola casta di giornalisti che impedisce a migliaia di giovani precari di poter vivere degnamente con questa professione». Firmato, Vito Crimi.

Neanche nelle peggiori stagioni si era mai sentito un membro del governo definire così un sindacato e un ordine professionale. Ormai la guerra dei 5Stelle all’informazione travalica anche le forme del confronto politico e diventa un insulto quotidiano.

Il sottosegretario all’editoria ce l’ha con una piccola folla di coraggiosi che, proprio in quei minuti, sta manifestando in una via deserta sotto al ministero dello Sviluppo economico.

«Né puttane né infimi sciacalli», si legge in alcuni cartelli che rispondono alle invettive del collaboratore dell’Editoriale Il Fatto Alessandro Di Battista dal Guatemala). L’ingiuria populista è la punta dell’iceberg, il colore – per così dire – della vera ghigliottina con cui Lega e 5Stelle si apprestano a tagliare ciò che resta dei contributi pubblici all’editoria, diretti e indiretti.

A ben vedere, alla manifestazione una notizia c’è. Nella piccola via Molise ci sono tutti gli organismi nazionali e regionali sia dell’ordine dei giornalisti che del sindacato. Un fatto impensabile fino a pochi mesi fa.

Ci sono giornalisti della Rai e di grandi testate (una per tutte: Federica Angeli di Repubblica), redattori di quelle storiche, messe al muro dal governo, come Primorski, Avvenire e Radio Radicale, e nuovi videomaker indipendenti che sono ignorati dalle norme attuali (e dagli editori) ma che girano i filmati su siti web da milioni di clic.

Le difficoltà sono infinite. Nessun giornalista oggi in Italia può dirsi al sicuro nel proprio lavoro. Per questo sono venuti rappresentanti da tutte le regioni, in un sit-in in cui al megafono hanno parlato tutti, dai vertici istituzionali fino a noi del manifesto, precari, rappresentanti di associazioni del settore e organi di categoria.

Un’oretta di brevi e mirati interventi hanno dato un quadro generale poco rassicurante dello stato dell’editoria nel nostro paese. Che potrebbe peggiorare.

Crimi, infatti, alla vigilia della presentazione degli emendamenti del governo in senato, conferma che taglierà i fondi a Radio Radicale («Lo stato non può finanziare una radio di partito, e la convenzione per le dirette parlamentari sarà rivista, intanto da 14 milioni passerà a 9») e anche i contributi diretti alla stampa: «Ci sarà una franchigia di 500mila euro uguale per tutti, chi prende di più vedrà i contributi decrescere fino all’azzeramento».

Interventi in totale controtendenza con quelli presi o allo studio nel resto d’Europa e del mondo.

Il diritto all’informazione è ormai un tema di dibattito anche in paesi dove finora l’intervento pubblico era considerato una bestemmia, come in Gran Bretagna e Canada.

«Chi dice di difendere i precari in realtà si prepara ad aumentarli con il taglio dei contributi a testate dove lavorano 1.500 giornalisti. Dal governo lo stesso film che abbiamo visto sui rider», avverte Raffaele Lorusso segretario Fnsi.

«Non servono scalpi, si tratti con chi rappresenta la categoria e non con associazioni imprecisate o sindacati gialli», gli fa eco Carlo Verna presidente dell’ordine.

La consapevolezza che nessuno possa sentirsi escluso da questa battaglia è generale.

In serata il governo pare aver colto il messaggio. In un comunicato, il ministro Luigi Di Maio si rammarica per «il clima di contrapposizione» e chiede alle parti di tornare confrontarsi al tavolo tecnico sull’equo compenso.