Tra avvisaglie di invasioni mai avvenute, proteste filo russe in molte città ucraine e autorizzazioni a utilizzare le truppe, ieri un’agenzia di stampa russa ha annunciato che Julia Tymoshenko, il 3 marzo incontrerà Putin a Mosca, per cercare una soluzione alla crisi ucraina. Evidentemente le mosse di questi giorni ci sono state, a conferma di come la «principessa del gas» sia interlocutore potenzialmente in grado di negoziare con Putin, benché le icognite rimangano.

Nel frattempo alcune immagini hanno sintetizzato la giornata di ieri: un ragazzo che sale su un edificio pubblico a Karkhiv e sostituisce la bandiera ucraina, con quella russa. Una foto mozzafiato, lo riprende dall’alto: in basso la piazza, con le persone che hanno protestato. Stessa scena a Donetsk dove il palazzo regionale sventola da ieri bandiera russa. E a Sinferopoli, foto diffuse su internet, ripredevano persone con passamontagna e armati di lancia granate, muoversi come teste di cuoio tra autobus e cittadini. Analogamente la Cnn mostrava immagini di tank russi «in Crimea».

Tra foto, annunci e notizie senza conferme, si registra dunque che la protesta filo russa e anti Kiev, considerata nelle mani di un governo di estrema destra, è divampata nell’Ucraina orientale, giocando a favore di eventuali negoziazioni di Putin. Tutto questo mentre a Mosca si consumava una partita molto importante, per quanto fino ad ora, o almeno mentre scriviamo, resti ancora altamente simbolica.

Nella serata di venerdì le autorità della Crimea, disconosciute poiché dichiarate illegittime da Kiev, avevano chiesto protezione e aiuto militare a Mosca. Putin aveva appena detto di non volere l’escalation, mentre un redivivo Yanukovich era riapparso per dire il suo no a divisioni territoriali. Ma Putin non poteva esimersi dall’agire, con la scusa della protezione della maggioranza della popolazione in Crimea: russi che chiedono sostegno. Così ha proceduto da manuale: ha chiesto al parlamento l’autorizzazione all’uso delle truppe russe in Crimea. Permesso accordato all’unanimità, all’interno di una seduta dai toni «sovietici» (contro il «neo fascismo occidentale»). Putin dopo l’ok della camera alta, il consiglio federale, ha provveduto a specificare: «avere questa licenza, non significa usarla immediatamente». E chissà che questa mossa piuttosto muscolosa, non sia la chiave per evitare un conflitto armato; la notizia della visita di Tymoshenko sembrerebbe confermare questa lettura.

A Kiev – intanto – Klitschko ha chiesto la mobilitazione generale dell’esercito ucraino. Ci sono vari «però»: l’ex pugile non è al governo, ed evidentemente chi invece siede nell’esecutivo, non sa quanta fiducia avere nei propri soldati, considerati da sempre non proprio ostili a Mosca. Quindi che succederà? Al momento tutto è in stallo, complice un’Unione europea imbarazzante, pronta a convocare una riunione definita d’emergenza che avrà luogo, però, domani.

Dal canto suo la Duma moscovita, un atto praticamente dovuto l’accettazione della richiesta di Putin, ha chiesto un passo in più: chiedere di richiamare l’ambasciatore russo a Washington. Lo stesso statement di Putin, ha sollevato dubbi e ambiguità. Nel comunicato si parla di «uso» di truppe sul territorio ucraino, alludendo agli uomini nella base del Mar Nero come da accordi con l’Ucraina, ratificati dopo il dissolvimento dell’Urss (decretata proprio dallo sgancio ucraino a dicembre) e rinnovati poi nel 2010 (e in vigore fino al 2042). C’è poi il diffondersi dei sentimenti filo russi nelle regioni orientali dell’Ucraina, ricordando che alcuni Berkut -reparti speciali della polizia ucraina – rifugiatisi in Crimea hanno ottenuto i passaporti russi. Ieri a Donetsk e Karkhiv ci sono stati scontri tra opposte fazioni, ma i filo russi hanno avuto una grande presenza per le strade, contestando il neonato governo di Kiev, che vanta tra le sue fila ben tre esponenti del partito nazista di Svoboda.

A Karkhiv i manifestanti pro Mosca hanno sfondato un cordone di sostenitori delle nuove autorità ucraine e sono stati acclamati da una folla di persone che si è riunita davanti al palazzo, al cui ingresso ora sventola una bandiera russa. Non solo perché anche a Cherason, decine di dimostranti filorussi hanno dato vita ad una manifestazione nel centro della città che si staglia alle porte della Crimea, nel Sud dell’Ucraina. «No al fascismo», gli slogan dei manifestanti in riferimento alla presa del potere dell’opposizione a Kiev. Dalla capitale le notizie sono anche di natura economica: il Fondo Monetario ha confermato la propria intenzione di occuparsi della «nuova» Ucraina: Kiev prevede di ricevere non prima di aprile una prima parte di un finanziamento dell’Fmi da 15 miliardi di dollari in due anni e mezzo, secondo quanto sostenuto ieri dal ministro delle Finanze ucraino Shlapak. Nella giornata appena trascorsa, la preoccupazione principale del «governo di Majdan», è stata la gestione di quanto accadeva in Crimea, nel resto del paese e quanto veniva deciso a Mosca. Il presidente ad interim ucraino Oleksandr Turchynov ha definito «illegale» l’elezione a premier della Crimea del leader del partito Unità russa Serghei Aksionov. Aksionov è stato eletto il 27 febbraio in un parlamento occupato da uomini armati filorussi e ha definito presidente «legittimo» il deposto Viktor Ianukovich. Ma Kiev, dopo aver cambiato i vertici dell’esercito dei giorni scorsi, evidentemente non si fida ancora del proprio esercito e non ha preso alcuna decisione, mentre il sito Iarex.ru, dava notizia di una sorta di ammutinamento di un’ammiraglia della Marina ucraina.