Secondo le tabelle del piano strategico per la vaccinazione anti-Covid, a quasi due mesi dall’inizio della campagna avremmo dovuto disporre di circa nove milioni di dosi. A causa dei ritardi nelle forniture da parte delle case produttrici, le dosi consegnate dalle aziende sono attualmente meno di 4,7 milioni, cioè la metà di quanto previsto. La penuria di dosi apre la strada alla ricerca di alternative. Sul mercato parallelo, circolano vaccini di origine dubbia su cui indaga la magistratura. Poi ci sono i vaccini non autorizzati dall’Unione Europea, ma che in realtà sono già in circolazione. Piace molto, ad esempio, il vaccino russo Sputnik V.

Dall’assessora al welfare della Lombardia Letizia Moratti al suo collega laziale Alessio D’Amato, molti amministratori locali chiedono che se ne faccia uso al più presto anche da noi. Anche una parte della comunità scientifica tifa Sputnik. Ieri l’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive “Spallanzani” di Roma ha diffuso un documento che, sulla base dei dati pubblicati sulla rivista Lancet, tesse le lodi del vaccino russo. «I dati disponibili depongono per un ottimo profilo di sicurezza a breve termine. I dati di immunogenicità sono comparabili a quelli dei vaccini genetici già autorizzati per l’uso clinico. I dati di efficacia clinica – infine – sono paragonabili ai due vaccini più efficaci attualmente disponibile e si sono dimostrati omogenei in tutte le fasce di età». Perciò, concludono i ricercatori «si ritiene che il vaccino Sputnik V possa avere un ruolo importante nei programmi vaccinali contro Sars-Cov-2».

In calce al testo, la firma di 5 specialisti dell’istituto, tra cui il direttore sanitario Francesco Vaia. Ma non quella del direttore scientifico Giuseppe Ippolito, che invece invita alla cautela. «Perché – ha chiesto Ippolito – l’Istituto Gamaleya e il fondo sovrano Rdif che gestisce l’operazione vaccino per conto delle autorità russe, nonostante gli annunci e la propaganda, non hanno ancora presentato a Ema la formale richiesta di revisione dei dati per l’approvazione del vaccino Sputnik nell’Unione Europea?». Anche Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità e membro del Comitato tecnico scientifico è prudente.

«L’efficacia riportata dalla rivista Lancet del 91,2% è un dato da non sottovalutare, ma non è l’unico elemento da considerare» spiega. «Ben venga tutta la documentazione possibile per permettere alle agenzie regolatorie di formulare un parere», dunque. Ma precisa: «Oltre ai dati completi, andrà poi fatta qualche riflessione in merito alla capacità produttiva e alla congruità dei siti produttivi nel modo meno condizionato possibile da pregiudizi». Tradotto: se la Russia vuole vendere il suo vaccino in Europa, deve permettere all’Agenzia europea del farmaco di ispezionare i suoi laboratori, per verificare il rispetto degli standard di sicurezza previsti dall’Ue. Non è detto che i russi gradiscano queste ispezioni. Otto ricercatori italiani, guidati da Enrico Bucci della Templeton University, hanno infatti sottolineato la scarsa trasparenza delle ricerche pubblicate dal Gamaleya. «Finora, l’accesso ai dati completi su cui si basano i test relativi allo sviluppo clinico del vaccino è stato rifiutato a diversi ricercatori indipendenti di tutto il mondo, Russia inclusa» scrivono i ricercatori. «Nell’ultima pubblicazione, si legge che un “dipartimento di sicurezza” valuterà le richieste di accesso ai dati. Una simile dichiarazione è oltraggiosa, sia per il Gamaleya che per Lancet».

Eppure, il vaccino è già stato approvato da 23 stati. Tra questi figurano diverse aree “calde” della geopolitica come Iran, Emirati Arabi Uniti, Pakistan, Venezuela. L’elenco dimostra come il vaccino sia anche un’arma diplomatica per la Russia. Nella lista c’è anche uno stato dell’Ue, l’Ungheria. La Repubblica Ceca potrebbe seguirla nei prossimi giorni, senza aspettare la valutazione dell’Agenzia Europea del Farmaco. È possibile che si aggiunga anche l’Italia?
In teoria sì, a giudicare dalla vicenda degli anticorpi monoclonali, approvati dall’Aifa per uso di emergenza prima del parere dell’Ema. Ma significherebbe riaprire la guerra interna all’Agenzia del farmaco, perché il direttore generale Magrini difficilmente accetterebbe di scavalcare nuovamente l’agenzia europea. E sul piano internazionale significherebbe porre l’Italia al di fuori della strategia coordinata a livello europeo in materia di vaccini e terapie, facendone la punta occidentale dell’area di influenza russa. Nella maggioranza di governo, la Lega non sarebbe forse contraria, viste le amicizie di cui gode a Mosca. Ma per l’europeismo del nuovo premier Draghi, sarebbe un colpo fatale.