«L’aumento dell’occupazione è positivo ma l’intensità dell’incremento non è ancora soddisfacente e, soprattutto, servono una strategia di lungo periodo per battere le disuguaglianze, superare le criticità fra i giovani e le donne e le differenze territoriali fra Nord e Sud».

Linda Laura Sabbadini, come ogni mese i dati sull’occupazione vengono letti in modo contrastante. Il governo festeggia il record dei 23 milioni di occupati – il più alto dall’inizio della crisi nel 2007 -, ma siamo di fronte ad un nuovo record anche rispetto alla percentuale di contratti a tempo determinato – e dunque precari – più 67 per cento rispetto al primo semestre 2015, l’inizio del Job act. Lei come come valuta i numeri odierni?

Linda Laura Sabbadini
Linda Laura Sabbadini

Da analista è giusto guardare ai dati con obiettività. Da un lato la crisi economica ha portato l’Italia ad una situazione assai critica, ora anche con l’incremento del Pil da 10 trimestri cominciamo veramente a vedere la luce in fondo al tunnel. È un segno positivo che permane, anche se ancora non sostenuto e non al livello dei Paesi europei. È più difficile così che si tramuti in aumento consistente di occupazione. Comunque i 23 milioni sono importanti, ma non amo sottolineare i record. In 10 anni il tasso di occupazione è aumentato tra gli over 50 di 12,7 punti, in tutte le altre fasce di età siamo ancora sotto di 8 punti rispetto a 10 anni prima per le persone fino a 24 anni; di 9 per quelli da 25 ai 34 anni e di 3,2 dai 35 ai 49 anni. Certo, dal 2015 in poi è cresciuta anche l’occupazione giovanile di circa 2 punti, è quindi positivo, non solo gli ultracinquantenni, ma non siamo riusciti a recuperare la situazione precedente in segmenti fondamentali come i giovani e anche fra i 40enni.

L’aumento dell’occupazione degli over 50 è più figlia della riforma Fornero che del Jobs act: si sta al lavoro di più e si blocca il turn over coi giovani.
Pesare l’incidenza della riforma Fornero sull’occupazione non è semplice, nell’incremento dell’occupazione degli ultracinquantenni intervengono tanti aspetti, anche un effetto coorte tra le donne. Arrivano ai 50 anni donne che fin da giovani lavoravano di più. Quello che è chiaro è che l’assenza di un 40 per cento circa di giovani tra i 25-34 anni pesa sul futuro perché saremo meno pronti a vincere le sfide tecnologiche, della robotica che dovremo presto affrontare. Dobbiamo saper combinare le nuove competenze giovanili con la grande esperienza degli ultracinquantenni, abbiamo bisogno degli uni e degli altri. Siamo davanti ad una trasformazione fortissima della composizione per età dell’occupazione. Ma è deleterio parlare di conflitto integenerazionale.

Rispetto al mese scorso il tasso di disoccupazione è aumentato a causa del calo degli inattivi. Il loro numero elevato è comunque una peculiarità tutta italiana.
Sì, soprattutto nella componente degli scoraggiati, coloro che non cercano lavoro perché pensano di non avere alcuna possibilità di trovarlo. La loro variazione va contestualizzata: in tempo di crisi di solito aumentano e viceversa se c’è una ripresa economica. Ma può anche succedere che in tempi di crisi si mettano a cercare lavoro, perché le condizioni di povertà della famiglia siano così disperate da costringerli a farlo. Per questo motivo è sempre bene guardare in primis al tasso di occupazione e non a quello di disoccupazione.

L’altro tasto dolente questo mese riguarda le donne: «l’aumento della disoccupazione è attribuibile esclusivamente alla componente femminile».
Lo scorso mese si era parlato di record dell’occupazione femminile e io ho detto che non aveva senso. Ci esaltiamo per essere sotto il 50 per cento ? Se è vero che le donne hanno retto meglio alla crisi rispetto agli uomini perché sono impiegate maggiormente nei servizi e meno nell’industria e costruzioni, è pur vero che ne hanno pagato gli effetti sotto il punto di vista qualitativo: è cresciuto il part time ma il 60 per cento è involontario, sono tante le lavoratrici sovra-istruite, sono cresciute le professioni poco qualificate e diminuite quelle tecniche, è peggiorata la conciliazione dei tempi di vita. Il quadro quindi è ancora molto critico.

Le cause di questa situazione sono aggredibili? Perché in Italia le donne sono così penalizzate nel mondo del lavoro?
Le ragioni sono molte e ormai stratificate da decenni. Ci sono problemi di accesso al mondo del lavoro: nei colloqui e nella selezione del personale le donne, specie se con figli, vengono considerate negativamente. In più anche riguardo alla permanenza al lavoro le donne scontano il peso dei carichi familiari e della conciliazione dei tempi di vita. La carenza dei servizi è evidente, l’organizzazione del lavoro non è flessibile e non permette loro di lavorare senza problemi. Gli investimenti pubblici in servizi sociali in Italia sono ancora anni luce in ritardo rispetto al Nord Europa che ha investito fin dagli anni ’50. È ora di investirci, si può creare occupazione giovanile e femminile. Pensiamo anche a tutti i problemi che stanno emergendo nel nostro Paese: la necessità dell’integrazione dei migranti, la messa in sicurezza del territorio, la difesa e valorizzazione delle nostre bellezze artistiche e naturali. Investiamoci, valorizziamo le grandi risorse giovanili e femminili che possediamo, saranno tanti posti di lavoro in più, nel nostro Bel Paese.