Nascere e crescere nell’Atene di Pericle, di Danielle Jouanna (Carocci editore «Frecce», pp. 219, euro 21,00), sana una lacuna nell’ambito dell’antropologia dell’uomo antico: il difficile mestiere di padre (e madre) nella pólis del V-IV secolo a.C.

L’opera sfata i preconcetti sull’educazione del bambino greco, liberandola dal pregiudizio classicistico, che vernicia di similoro mitizzante termini usurati come paideía e la kalokagathía.

Nell’opera si pongono in forte discussione anche più moderni orientamenti, che sulla scorta del ben noto Padri e figli nell’Europa medievale e moderna di Philippe Ariès, ridimensionano in larga parte l’investimento affettivo del genitore greco nei confronti del bambino, ponendo l’accento sull’alta mortalità infantile che caratterizza tutte le società preindustriali.

L’autrice pone a raffronto le diverse prospettive in materia, in presenza di un altro significativo ostacolo, la sporadicità delle fonti letterarie e artistiche di età attica, benché gli scrittori e gli artisti forniscano qua e là decisivi indizi, che si tratti dei Memorabili di Socrate o della Ciropedia di Senofonte, delle commedie di Aristofane o della pseudo-aristotelica Costituzione degli Ateniesi, di opere di memorialisti tardi, come Plutarco, o delle testimonianze della pittura vascolare e dei bassorilievi funerari.

Il libro è ripartito in quattro sezioni: dal dovere della procreazione, proprio di ogni cittadino attico, all’infanzia prescolare, all’età scolare, con i suoi privilegiati e i suoi esclusi, fra eclissi e ritorni del padre, legittimazione pubblica, status ambiguo della madre, socialità del bambino, per poi concludersi con l’adolescenza, la sfrenata e convulsa «età della libertà», che prelude all’efebia.

Così, nella prima sezione, il campo di forze sociali ed economiche dell’obbligo e della convenienza, delinea la figura pubblica di un padre che investe nel figlio come funzione della comunità, in quanto suo futuro membro e difensore. Nel cielo dei valori della paternità dell’uomo attico trovano posto il dovere di garantire il futuro dei figli e delle figlie, l’allocazione matrimoniale, in forza della legge, di una figlia unica rimasta orfana ed erede (epíkleros), o la sinistra tentazione intellettuale dell’eugenetica.

Sistematico è nell’approccio della Jouanna l’influsso del vecchio aforisma secondo cui la madre è biologica e il padre è culturale: i capitoli relativi al ruolo materno indagano infatti gli aspetti strettamente fisici della gravidanza, del suo esito, del suo trattamento medico, aborto incluso. Tali circostanze oggettive dettano all’autrice l’opportunità di strutturare la seconda sezione come simmetrica rispetto alla prima: la crescita del bambino from an Attic point of view è oggetto delle cure della madre e della nutrice, in un universo femminile in cui, a parte la legittimazione iniziale, il padre si eclissa. Più le madri che i padri seguono i semplici giochi dei piccoli ateniesi, da poco emersi dal campionario contraddittorio dei reperti archeologici, e introducono i bambini nel tempo dei racconti, dei mito e delle favole esopiche, trasmesse oralmente o animate visivamente dalle metope dei templi, dagli affreschi, dalla pittura vascolare, dall’arte del ricamo. Ne affiora un quadro in cui, al di là del «miraggio spartano» di filosofi aristocratici come Platone, i genitori ateniesi non erano diversi da i genitori di ogni tempo, con il loro profondo e vissuto peso affettivo, fra vezzeggiamento e ostensione dei figli nei pubblici procedimenti giudiziari.

Di particolare interesse è la lunga sezione relativa all’istruzione di base del bambino attico, fra maestro di scuola (grammatistés), maestro di musica (kitharistés) e maestro di ginnastica (paidotríbes). La comparazione con altri mondi, greci e non, da Sparta a Creta alla Persia, e più avanti all’aristocrazia eolica, fa emergere i punti di forza dell’educazione ateniese, meno tribale, guerriera e feroce di quella dorica, ma fortemente arretrata in fatto di istruzione delle fanciulle, se si pensa a fenomeni antropologici come i tiasi di Saffo. Se questo aspetto comparativo lascia aperti diversi interrogativi, argomento di future indagini, molto più esaustiva è l’indagine sugli «esclusi dall’istruzione» (pp. 118-140), schiavi, poveri, ma anche le ragazze, così che lo stato di fatto dell’istruzione ad Atene, riflette le dinamiche di esclusione politica strutturale da cui la democrazia attica era minata

La quarta sezione pone in evidenza la natura del padre ateniese, nella spinosa posizione di dover d’improvviso fronteggiare le intemperanze dell’adolescenza, e poco vale il tentativo dei genitori più facoltosi di fornire ai figli competenze e istruzioni specialistiche.

Danielle Jouanna ci lascia così il quadro di un mondo dominato da opposte tensioni, in cui la nascita e la crescita dei bambini e delle bambine dell’Attica procede fra retaggi tribali e società avanzata, fra diseguaglianze oggettive e miraggi ideologici, governato dalle schiaccianti differenze di genere che nell’età della pólis determinano il destino della donna e dell’uomo ateniese.