Il turbante nero dei Seyed, la barba bianca. Il leader supremo entra in scena togliendosi il soprabito e imbracciando una zappa. In occasione della giornata mondiale della natura selvatica, Ali Khamenei pianta due alberelli e li bagna utilizzando un bizzarro annaffiatoio bianco con l’estremità rossa, le mani coperte da guanti bianchi per l’epidemia di coronavirus. È con questo spot sulla tv nazionale che il leader supremo promette trasparenza e chiede agli iraniani di dare il loro contributo rispettando le regole del ministero della Sanità per combattere l’epidemia. Per contrastarla, ha messo in allerta persino le forze armate, senza rendere noto con quali modalità i soldati potranno agire.

KHAMENEI ha osservato «che questa calamità non è poi così grave, abbiamo visto di peggio, non voglio sottostimare il problema ma nemmeno dargli troppa importanza». Da parte sua, il presidente Rohani si spinge a dichiarare che «l’epidemia è un piano del nemico», ma ormai non gli dà più retta nessuno: nelle parlamentari dello scorso 21 febbraio è andato a votare solo il 43% degli iraniani e nella capitale l’affluenza è scesa al 25%, il minimo storico per la Repubblica islamica.

Anziché farsi un esame di coscienza, le autorità scaricano la colpa sul nemico esterno e rifiutano l’offerta statunitense di un aiuto nel combattere il virus. Per ora gli aiuti sono arrivati dall’Oms, che lunedì ha consegnato equipaggiamenti di protezione per 15mila medici e infermieri e test diagnostici per quasi centomila persone. Per il resto le misure messe in atto da Teheran sono simili a quelle adottate dall’Italia: scuole e università chiuse, cancellazione dei principali eventi culturali e sportivi, ma anche diminuzione degli orari di lavoro e sospensione per la seconda volta consecutiva della preghiera del venerdì.

IN IRAN il virus ha ucciso almeno 92 persone e ne ha infettate altre 2922 in diverse località, con una mortalità ben superiore al 2% registrato in Cina. Al di là della retorica, il Covid-19 fa parecchia paura alla leadership della Repubblica islamica, soprattutto perché ci si è subito resi conto di non esserne immuni: lunedì è morto Mohammad Mirmohammadi, membro del Consiglio dell’interesse nazionale vicino al leader supremo. Ad esserne infettata è anche la vicepresidente Masoumeh Ebtekar, che in questi giorni si sta curando ai domiciliari ed è comunque molto attiva sui social. Oltre a lei, ad essere colpiti dal virus sono il viceministro alla Sanità Iraj Harirchi, il capo dei servizi medici di emergenza Pirhossein Kolivand e 23 dei 290 deputati.

A preoccupare è la diffusione del virus nelle carceri e, per questo motivo, la magistratura è pronta a rilasciare oltre 54mila prigionieri a patto che risultino negativi al test e paghino la cauzione necessaria. Fanno eccezione i detenuti condannati per motivi di sicurezza a pene detentive superiori ai cinque anni. Tra coloro che potrebbero essere rilasciati a breve ci sono diversi iraniani con doppia cittadinanza europea. Tra questi Nazanin Zaghari-Ratcliffe, naturalizzata britannica e condannata per spionaggio nel 2016: potrebbe aver contratto il Covid-19 in carcere e secondo la famiglia non sarebbe ancora stata sottoposta al test, ma se dovesse morire di malattia non sarebbe più una pedina nel gioco con l’Europa.