Negli Stati Uniti, l’uso terapeutico della marijuana è attualmente permesso in 23 stati e nel Distretto di Columbia, anche se il governo federale considera ancora la cannabis una delle sostanze più pericolose. Il suo utilizzo medico è cresciuto rapidamente, nonostante la minaccia delle pene federali. Si aggiunga che la marijuana non può essere venduta legalmente come farmaco poiché il governo non vuole toglierla dalla Tabella I della legge antidroga del 1970, con ciò precludendo la possibilità di raccogliere i dati di ricerca necessari per l’approvazione al commercio da parte della Food and Drug Administration (Fda).

Nonostante la persecuzione delle autorità federali, via via che cresce il numero dei pazienti che la utilizzano, legalmente o illegalmente, ogni aspetto di questa medicina alternativa continuerà a svilupparsi e a diventare sempre più sofisticato, tanto da configurarsi come una nuova scuola o filosofia di medicina. Questa medicina che viene dal passato si arricchisce ancora di evidenze aneddotiche. Ed è oggi supportata da fondamentali conoscenze nel campo della biologia e della fisiologia derivate dalla scoperta e dallo studio del sistema endocannabinoide. Tutto ciò avviene al di fuori della medicina allopatica, attraverso una nuova medicina che può essere denominata «medicina cannabinopatica»: che s’inserisce nel solco di altre scuole alternative, come le medicine naturopatica, omeopatica e osteopatica. La medicina cannabinopatica è praticata in tutto il paese, apertamente negli stati che l’hanno legalizzata e clandestinamente negli altri. All’inizio, si pensava che si sarebbe integrata nella medicina occidentale: da qui i tentativi iniziati nel 1972 per convincere il governo federale a spostare la cannabis dalla Tabella I alla II, il primo passo per la raccolta dei dati da presentare alla Fda per la registrazione come farmaco. Ma anche se l’ostacolo della Tabella I fosse eliminato, ci sarebbero oggi altri impedimenti per il riconoscimento come farmaco.

Un grosso problema è rappresentato dal reperimento dei fondi necessari per il tipo di ricerca richiesto dalla Fda: si arriva fino a 800 milioni di dollari per farmaco. Ma poiché la pianta non può essere brevettata, le aziende farmaceutiche non hanno interesse nella marijuana vegetale.

Agli inizi degli anni ‘80, il governo concesse grossi finanziamenti a una piccola azienda, Unimed, per produrre il tetraidrocannabinolo Thc sintetico (il Marinol). Il governo pensava che col Marinol legale, non ci sarebbe stato più bisogno della marijuana medica visto che c’era un prodotto farmaceutico cannabinoide in commercio. Il problema si presentò quando i pazienti tentarono di sostituire il Marinol alla marijuana fumata o ingerita. Semplicemente, il Marinol non funzionava neppure lontanamente bene come la marijuana vegetale. Come è sempre più chiaro, le proprietà benefiche della marijuana non risiedono solo nel Thc ma sono dovute ad un effetto d’insieme di componenti vegetali, compresi il Thc, il cannabidiolo (Cbd) e i terpeni. L’industria farmaceutica ha anche prodotto il Sativex, una soluzione liquida di due cannabinoidi naturali (Thc e Cbd) dietro brevetto. Ma neppure il Sativex è in grado di competere con la foglia di marijuana (ingerita, fumata o vaporizzata), sia nel costo che nell’effetto: il suo maggior appeal sta nella legalità, non nell’efficacia. Con la fine della proibizione (ormai inevitabile), potrà la marijuana riconquistare il posto che le spetta nella medicina moderna? Non è così chiaro, vista l’enorme influenza dei colossi farmaceutici sull’establishment medico e sul governo. Nel frattempo, la medicina cannabinopatica sta rapidamente affermandosi come una medicina assai utile e sicura, largamente ignorata dalla medicina allopatica.

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