I fischi alle orecchie del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, ieri mattina, devono essere stati davvero assordanti. A Stoccolma per la riunione dell’Eurogruppo lui non c’era, impossibilitato a partecipare dal noto increscioso incidente sul Def a Montecitorio: è arrivato solo nel pomeriggio per la riunione di Ecofin. Ma di nessuno si è parlato più che di lui, o più precisamente del governo italiano e del suo rifiuto di ratificare la riforma del Mes, impedendone di conseguenza l’entrata in vigore.

Dietro i toni diplomatici e la cortesia felpata si tratta di un assedio in piena regola. La presidente della Bce Christine Lagarde non ha bisogno di calcare la mano: «Ci sono stati appelli ricorrenti da parte dell’Eurogruppo per la ratifica del Mes. Penso che sarebbe un bene». Più che il parere, scontato, della presidente pesa il riferimento agli «appelli ricorrenti»: vuol dire che all’interno dell’Eurogruppo tutti hanno chiesto di risolvere una volta per tutte la faccenda.

Il presidente del gruppo Paschal Donohoe è il più delicato. Ma, con tutto «il rispetto e l’altissima considerazione per la deliberazione in corso del governo italiano», la conclusione non cambia: «Abbiamo un accordo sul Mes dal 2020 ed è di grande importanza la piena ratifica». Il presidente del Mes stesso Pierre Gramegna non si sottrae ma neppure lui mira allo scontro aperto, tanto che per giustificare le resistenze di Roma chiama in causa la scarsa dimestichezza della penisola con l’inglese: «“Forse il problema è che Backstop in inglese si capisce e in italiano no», alludendo alla rete di sicurezza che il Mes fornirebbe al sistema bancario in caso di difficoltà. Del resto le pressioni moltiplicatesi in questi giorni si spiegano in buona parte proprio con la paura di bruttissime sorprese nelle banche americane. Gramegna si impegna a spiegare bene cosa significhi Backstop di persona e nei prossimi giorni: «Vuol solo dire che raddoppiamo la potenza di fuoco per proteggerci dalle turbolenze finanziarie».

Il commissario all’Economia Paolo Gentiloni, chiamato indirettamente in causa in quanto italiano: «È un impegno che è stato preso da tutti, anche dall’Italia, quindi nei tempi e modi decisi da governo e Parlamento italiani la ratifica non dovrebbe essere in discussione». Invece lo è. Al Senato le due proposte di ratifica del Pd e di Iv sono ferme da mesi, la discussione è slittata ancora negli ultimi giorni e a paralizzare tutto è proprio la maggioranza. E giovedì sera, da Londra, Giorgia Meloni ha confermato i suoi dubbi, per usare un pallido eufemismo: «Bisogna partire dalla governance europea, non ha senso parlarne se non nel quadro complessivo. Inoltre che senso ha tenere decine o centinaia di miliardi fermi in uno strumento che nessuno utilizza perché è come una lettera scarlatta?».

Tutto insomma sembra fermo alle postazioni di partenza ma il pressing corale di ieri dice chiaramente che l’incertezza dovrà essere sbloccata presto ed è difficile immaginare che l’Italia da sola possa insistere fino alle estreme conseguenze in uno scontro con tutti gli altri 19 Paesi dell’Eurogrppo per non parlare della Commissione e della Bce. È probabile però che alla fine Meloni e Giorgetti provino a calare la carta a loro disposizione sul tavolo del nuovo Patto di stabilità, argomento centrale nella riunione Ecofin. Lagarde si è schierata a favore della formula proposta dalla Commissione, quella dei diversi programmi di rientro Paese per Paese. La Germania si oppone, vuole «un sistema di regole per tutti gli Stati», minaccia il sabotaggio: senza un accordo «si applicano le regole già in vigore», cioè si resta al vecchio Patto.

Anche l’Italia reclama modifiche ma di segno inverso, l’esclusione dal deficit delle spese per digitale e transizione ecologica. Si può capire perché non voglia chiudere la partita del Mes prima che si definisca quella sul Patto.