Rispetto all’anno precedente, il Pil italiano è cresciuto nel 2017 dell’1,4%. Si tratta di una prima stima dell’Istat, basata sulla media dei dati trimestrali dell’anno che abbiamo alle spalle.

Per avere il dato finale, infatti, bisognerà attendere l’inizio del prossimo mese. Già adesso, in ogni caso, appare (quasi) confermata la previsione del governo, che aveva fissato l’asticella all’1,5%.
Un dato significativo (il più alto dal 2010), sebbene manchino all’appello ancora 5,7 punti per eguagliare i livelli del 2008. Secondo il presidente del consiglio Gentiloni, questa performance costituirebbe la prova che il Paese «si è messo ormai alle spalle la crisi più acuta dal Dopoguerra». Ineccepibile. Salvo scorrere altri indici che dimostrano come l’attuale aumento della ricchezza non si traduca in un miglioramento delle condizioni materiali di vita della stragrande maggioranza della popolazione.

Partiamo dall’inflazione. Nonostante gli stimoli monetari della Bce, l’obiettivo del 2% rimane ancora molto lontano. A gennaio, secondo le stime dell’Istituto di statistica, i prezzi al consumo per l’intera collettività (Nic) sono aumentati appena dello 0,8% su base annua (era +0,9% a dicembre 2017). Un po’ meglio è andato il cosiddetto “carrello della spesa” (+1%), ma ancora è troppo poco. Si dirà: ma non è meglio che i prezzi dei beni rimangano stabili? Sì, ma se il livello si mantiene troppo basso, vuol dire che mancano i soldi per comprarli.

D’altro canto non potrebbe essere altrimenti, se è vero, come è vero, che il nostro Paese, stando ad una recente classifica stilata da Eurostat, conta, in termini assoluti, il più alto numero di poveri in Europa (10,5 milioni su un totale 75). Parliamo, per intenderci, di persone che hanno difficoltà a fare un pasto proteico ogni due giorni, curarsi, riscaldare a sufficienza la casa, acquistare un paio di scarpe per stagione e abiti decenti.

La controprova di quanto ha rilevato Eurostat è data, peraltro, dal modo in cui la ricchezza si è distribuita. La crisi non ha avuto per tutti le stesse conseguenze. C’è chi con la crisi si è arricchito, ad esempio, andando a collocarsi in quel 20% più ricco che oggi detiene oltre il 66% della ricchezza nazionale netta. Per non parlare di quell’1% di super-ricchi, i cui patrimoni ormai superano di 240 volte quella del 20% più povero della popolazione.

Altri numeri? L’Ocse ha recentemente fatto sapere che i redditi degli italiani, complessivamente, sono scesi del 10% rispetto al 2005, mentre la ricchezza media delle famiglie e crollata del 18% nell’ultimo quinquennio.

Ad influire su questo quadro, c’è, ovviamente, il numero ancora molto elevato di disoccupati e il carattere frammentario dei nuovi lavori, come dimostrano i numeri allarmanti che l’Inps ha snocciolato a gennaio sui contratti a tempo determinato (+26%), l’apprendistato (+13,9), i contratti di somministrazione (+20,3%) e a chiamata, che, dopo l’abolizione dei voucher, hanno visto un incremento, nell’anno appena trascorso, del 119,2%.

Eppure, insieme al Pil, cresce anche la produzione industriale. Nella media del 2017 l’incremento è stato del 3% rispetto all’anno precedente. I numeri assoluti dicono che, rispetto al 2009, dovremmo recuperare ancora un 10%, ma il trend è positivo.

Ma se gli italiani stanno male, per chi si produce? Non c’entra niente la regola del noto economista francese del Settecento Jean-Baptiste Say, secondo cui l’offerta dei beni crea la propria domanda. No, la risposta a questo interrogativo la danno i numeri della nostra bilancia dei pagamenti. Nel periodo gennaio-novembre del 2017, il valore totale dell’export italiano è stato di 411,3 miliardi di euro, un nuovo record storico dopo quello del 2016. Per rendere l’idea di cosa parliamo, basta ricordare che il nostro attivo commerciale è il terzo più alto in Europa, dopo quello della Germania e della Francia.
E’ la domanda estera, in pratica, che sta trainando la nostra economia, mentre i connazionali stringono la cinghia. Morale: l’Italia è uscita «dalla crisi più acuta dal Dopoguerra», ma la stragrande maggioranza degli italiani continua a rimanerci dentro.