L’Umbria, e di rimbalzo la piattaforma Rousseau, si trovano al crocevia dell’ennesimo e convulso passaggio di fase del Movimento 5 Stelle. Quest’oggi gli iscritti alla piattaforma Rousseau saranno chiamati ad esprimersi sulla mossa anticipata da Luigi Di Maio sull’alleanza alle elezioni regionali d’autunno tra 5 Stelle e Partito democratico. «Sei d’accordo con la proposta avanzata dal capo politico del ’Patto civico per l’Umbria’, sostenendo alle elezioni regionali un candidato presidente civico, con il sostegno di altre forze politiche?», recita il quesito al quale i grillini umbri dovranno rispondere.

Nei giorni scorsi l’intesa con gli ex nemici del Pd aveva generato una sollevazione di alcuni eletti nei consigli comunali della regione. Sconvolgimenti analoghi si annunciano in Calabria, dove per il «polo civico» invocato da Di Maio alle elezioni regionali potrebbe correre Pippo Callipo, l’imprenditore del tonno in scatola per il quale negli anni scorsi ha lavorato Anna Laura Orrico, sottosegretaria alla cultura grillina e unica esponente calabrese nel governo. Anche questa operazione crea disagi: un peso massimo come il corregionale (e presidente delle commissione antimafia) Nicola Morra ha rivendicato nei giorni scorsi autonomia dal Pd calabrese. E la deputata al secondo mandato Dalila Nesci si è addirittura proposta come candidata presidente di regione.

Che non si tratti soltanto di questioni locali emerge anche dalle parole, durissime, vergate ieri su Facebook da Alessandro Di Battista dopo giorni di eloquente silenzio. «Sono sempre stato contrario a un governo con il Pd, non è un segreto – scrive Di Battista – Ho sempre reputato il Pd il partito del sistema per eccellenza, quindi il più pericoloso. Da fuori farò le mie battaglie, senza destabilizzare nessuno ma affermando le mie idee che sono sempre le stesse». Di Battista si dice ancora legato ai suoi «ex colleghi» del M5S ma promette che in qualche modo farà pesare la sua esposizione.

La cosa non intacca le scelte ormai compiute ma serve a illuminare i malumori interni. Persino uno come Gianluca Castaldi, sottosegretario ai rapporti col parlamento, condivide le parole dell’ex deputato grillino. Anche se specifica: «Farei un post identico, cambiando solo l’ultimo passaggio: io da dentro (perché in questo momento mi trovo a combattere da dentro) farò le mie battaglie». Ancora Nicola Morra afferma: «Concordo con Alessandro quando dice che siamo al governo con il partito più ipocrita della storia d’Italia». Ma, precisa, «se ci troviamo ad affrontare questa marea di ipocrisia galoppante è dipeso dalla scelta governista che è stata effettuata l’anno scorso, a seguito di una votazione sul blog in cui venne chiesto se volevamo sporcarci le mani. E le mani ce le siamo già sporcate con la Lega con provvedimenti che ci hanno esposto ad attacchi delegittimanti».

Proprio Morra, ministro mancato secondo alcuni retroscena, starebbe al centro di manovre grilline che addirittura arriverebbero a pianificare una scissione, speculare a quella di Matteo Renzi dal Pd. L’operazione servirebbe a costituire una forza che resterebbe dentro il perimetro della maggioranza che sostiene Giuseppe Conte, ma con un profilo autonomo rispetto al M5S di Luigi Di Maio. Sono scenari considerati del tutto irrealistici anche dai 5 Stelle più critici: «Nessuno ha mai pensato una cosa del genere», giurano. Eppure, queste congetture muovono da un elemento di verità che nessuno tra i parlamentari grillini riesce ormai a negare e che qualche conseguenza è destinato a produrre: il fatto che il dissenso di deputati e senatori del Movimento 5 Stelle verso Di Maio non è mai stato diffuso come in questo momento.

Da quando il «capo politico» ha trasformato la sua sconfitta interna (il fatto di dover accettare obtorto collo di stare in maggioranza col Pd) in una occasione di rivalsa personale e di umiliazione dei propri avversari dentro il Movimento, qualcosa si è rotto per davvero tra i grillini eletti a Roma. I parlamentari che avevano giocato di sponda con Beppe Grillo per la formazione del nuovo esecutivo sono rimasti totalmente esclusi dalla distribuzione delle nomine, intrappolati nel governo che pensavano avrebbe marcato discontinuità anche sul tema mai risolto della democrazia dentro al M5S.