Aumentano le adesioni all’appello lanciato venerdì da 168 docenti di università di tutta Italia a boicottare le istituzioni accademiche israeliane, in particolare il Technion di Haifa per via del ruolo che, spiegano i firmatari, questo istituto «riveste nel supportare e riprodurre le politiche israeliane di espropriazione e di violenza militare ai danni della popolazione palestinese». In poche ore il numero delle adesioni è salito a quasi 200 e altri accademici hanno chiesto informazioni segnalando di poter firmare anche loro il documento. L’iniziativa italiana, che arriva dopo quelle prese negli ultimi due-tre anni da colleghi britannici e di altri Paesi occidentali, è di particolare rilievo se si tiene conto dei legami che rendono l’Italia, uno dei principali partner militari e accademici di Israele in Europa. Non sorprende perciò che alcuni giornali e siti israeliani abbiano riferito dell’appello con particolare evidenza nonostante non siano ancora giunte reazioni ufficiali del governo Netanyahu e del mondo accademico israeliano.

 

L’Italia, dove agiscono gruppi che promuovono attivamente il Bds (Boicottaggio, disinvestimento, sanzioni) – la campagna globale di boicottaggio di Israele per la fine dell’occupazione e della colonizzazione dei Territori, per la piena uguaglianza in Israele dei cittadini palestinesi e per il rispetto per il diritto al ritorno dei profughi del 1948 e del 1967 – non aveva mai visto un’azione tanto diretta nei confronti degli atenei dello Stato ebraico. «Le università israeliane – si legge nella petizione italiana – collaborano alla ricerca e allo sviluppo di armi usate dall’esercito israeliano contro la popolazione palestinese, fornendo supporto innegabile per l’occupazione militare e la colonizzazione della Palestina». Il Technion, spiega il documento, «è coinvolto più di tutti nel complesso militare-industriale israeliano e un certo numero di atenei italiani ha stretto accordi di cooperazione» con l’istituto di Haifa.

 

«Questo appello, anche se non dovesse produrre effetti concreti, comunque dovrà circolare e raccogliere tante adesioni perchè occorre far riemergere la questione palestinese», dice al manifesto il professor Angelo D’Orsi, ordinario di storia del pensiero politico all’Università di Torino e uno dei firmatari più noti e impegnati nelle vicende mediorientali. «Si è abbassata la soglia di attenzione del mondo verso la questione palestinese», aggiunge D’Orsi «tutto viene dato per scontato, molti pensano che non si possa fare nulla (per i palestinesi, ndr) come non si può fare nulla per la pioggia che cade. C’è un generale venir meno del ruolo degli intellettuali. Il silenzio denunciato qualche anno fa da Asor Rosa è pienamente vigente. Gli intellettuali che parlano sono pochissimi e in più quando lo fanno si uniscono al coro dei potenti». Su una maggiore partecipazione di intellettuali ed accademici alla difesa dei diritti dei palestinesi e della legalità internazionale batte anche Angelo Stefanini, medico e docente dell’università di Bologna. «Tra i colleghi percepisco ancora indifferenza», ci dice «o forse timore di essere coinvolti nel solito ricatto di equiparare una legittima opposizione alle politiche israeliane (versi i palestinesi, ndr) con l’antisemitismo. Della ventina di colleghi amici a cui ho girato l’appello, soltanto un paio hanno sottoscritto».

 

Si attendono le reazioni dei vertici di Israele, impegnati in queste ore a fare i conti con un’altra sfida che arriva dall’Europa. La Francia due giorni fa ha fatto appello alla convocazione di una conferenza internazionale sulla questione palestinese, fondata sulla applicazione delle risoluzioni dell’Onu, che riunisca attorno alle due parti i loro partner – americani, europei, arabi – allo scopo di realizzare la soluzione dei due Stati.Allo stesso tempo il ministro degli esteri Laurent Fabius ha avvertito che «Se ci sarà un blocco (nelle trattative,ndr) ci assumeremo le nostre responsabilità con il riconoscimento dello Stato palestinese…E’ davvero ora per la comunità internazionale andare avanti e stavolta in modo decisivo, verso una soluzione definitiva». Fabius ha ricordato che la sicurezza di Israele rappresenta «un’esigenza assoluta sulla quale la Francia non transige» ma, ha aggiunto, «non c’è pace senza giustizia e la situazione attuale dei palestinesi, che non hanno uno Stato, è fondamentalmente ingiusta». Per Israele invece la posizione francese «Incoraggerà i palestinesi a non negoziare». Secondo una fonte governativa «Non c’è alcuna logica nel porre una scadenza per il riconoscimento della Palestina». Soddisfazione ai vertici palestinesi. Il Segretario generale dell’Olp, Saeb Erekat, ha applaudito all’iniziativa francese assicurando piena collaborazione.