La scelta della Spd di votare, il 4 agosto 1914, i crediti per l’Assalto al potere mondiale (F. Fisher, 1965) della Germania guglielmina, fu, per l’Internazionale socialista, una tragedia vera, che sconvolse e frantumò in profondità una delle ragioni costitutive del socialismo, il suo internazionalismo, in favore delle ragioni del nazionalismo.

Si trattò di una cesura così netta con una storia, ormai consolidata, del socialismo che i suoi effetti furono alla base delle dinamiche dirompenti del primo dopoguerra. Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg, gli avversari più intellettualmente e politicamente autorevoli di quel voto e delle sue conseguenze, vennero assassinati in un’operazione la cui catena di comando era nelle mani di quei dirigenti della Spd che quel voto avevano fortemente voluto.

Oggi il Pd non solamente ha votato i crediti di guerra, ma li ha proposti e sostenuti come punta di diamante dello schieramento che, in forma pressoché totalitaria, li ha approvati alla Camera. Ciò non provoca nessun shock e nessuna sorpresa, ma viene, giustamente, inteso come uno sviluppo naturale e coerente di una parte politica che ha costruito la propria identità, consolidatasi nella pratica dei bombardamenti in Serbia, sulle logiche che giustificano l’attuale aumento della spesa di guerra italiana.

Il Pd si definisce, dunque, come parte necessaria dell’Impero del bene, come parte dello schieramento che considera «l’inglese (…) lingua della democrazia» di contro al «putinismo» di un «gruppetto di professori» (F. Merlo, la Repubblica, 12 marzo). Ora, sebbene Merlo non voglia vederlo, quei «professori» non sono un «gruppetto», ma un’area consistente della cultura italiana, del tutto estranea ad ogni forma di empatia per ciò che Putin è, e rappresenta. Anzi, proprio perché gran parte di quei «professori» fa riferimento alle categorie critiche dei capitalismi, la loro posizione non può che essere antitetica a qualsiasi forma di «putinismo». Per dirla con una felice espressione già usata su questo giornale, essi non sono né-né, bensì contro-contro (T. Di Francesco, 29 marzo).

Un’area di studiosi professionali che, a differenza dei giornalisti embedded, padroneggia gli strumenti del mestiere per l’analisi del «presente come storia». L’unico metodo, tramite coniugazione del giudizio politico con il giudizio storico, in grado di sottrarre l‘argomentazione alla propaganda di guerra.

Gli arruolati nelle divisioni dell’Impero del bene ci ricordano in continuazione che l’Occidente è in guerra, perciò chi non si arruola sta con l’Impero del male. E dunque la lingua della democrazia universale deve indicare i nemici occulti ed esporli al pubblico ludibrio. Per ora solo questo, poi si vedrà.

Nelle sue memorie Ehrenburg ricorda che nell’agosto 1914 «circolava la nuova espressione juif-boche» e su molti giornali si sosteneva che «il principale juif-boche, inveterato nemico della Francia, era stato il poeta Heine». Quando, l’anno dopo, Romain Rolland vinse il premio Nobel per la letteratura, sulla stampa patriottica si poteva leggere che il grande scrittore aveva ricevuto i trenta denari di Giuda elargiti dal «germanismo».

Oggi l’università della Florida cancella l’aula intitolata a Karl Marx, che, com’è noto, è stato precursore di Putin, e, nel nostro piccolo, la Bicocca cancella un corso su Dostoevskij. Un Heine russo?

Le pallottole di carta e quelle evanescenti dei bit, per avere un peso è opportuno che possano contare su quello, ben materiale, del piombo e dell’acciaio. Di qui la necessità dell’aumento delle spese militari che è «un problema di credibilità» del paese (Guerini). Credibilità di fronte al capo dell’Impero che ha appena aumentato il già stratosferico bilancio militare del 4%.

Il giornalista Paolo Mieli, sempre per dare maggiore credibilità all’Italia, consiglia a Letta di «proporsi come segretario generale della Nato» (la Repubblica, 27 febbraio). «Ne ha tutti i titoli», aggiunge in tono asseverativo. Un giudizio politico basato su fatti incontrovertibili e sul quale non possiamo non convenire.

Nessuno shock, dunque, per l’attuale voto sui crediti di guerra del Pd, ma solo conferma di una struttura identitaria solida e stratificata di quel partito.

Il quadro analitico sulla base del quale Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg si opposero a tali esiti nel 1914 è ancora punto di partenza per la comprensione della logica degli imperialismi di oggi. La costruzione di una forza politica che sia rappresentanza reale degli studiosi critici, dei militanti di sinistra, degli italiani che, numerosissimi stando ai sondaggi, non vogliono arruolarsi nelle armate dell’Impero del bene, è, allora, prioritaria e imprescindibile.