Giornata difficile ieri per le borse, e in particolare hanno patito i titoli bancari. Finiti nel mirino soprattutto dopo l’annuncio della Bce di una verifica su cinque istituti di credito (e un sesto nelle prossime settimane) in riferimento ai crediti deteriorati, specialmente quelli che formano le cosiddette «sofferenze», ovvero tutti quei debiti che i clienti non riescono a rimborsare e che probabilmente non verranno mai recuperati. L’isituto guidato da Mario Draghi, però, quasi per rassicurare, ieri ha precisato che il nostro Paese non è sotto la lente se non per una procedura standard: non c’è nessun faro specifico sull’Italia, e la richiesta di informazioni aggiuntive sui non performing loan (appunto i crediti deteriorati) avanzata alle banche italiane dall’unità di vigilanza della Bce «è una pratica di supervisione standard» e ha riguardato anche diverse altre banche della zona euro, ha spiegato un portavoce dell’Eurotower.

Lunedì i titoli di Mps, Banco Popolare, Bper, Unicredit, Bpm e Ubi (le sei banche coinvolte, Bper è quella per cui la procedura partirà un po’ più tardi) avevano subito dei tonfi in borsa, e ieri Mps aveva continuato a crollare (perdendo fino al 14,3%, e da inizio anno siamo già a oltre -46%). La capitalizzazione dell’istituto senese si è ridotta a meno di 2 miliardi di euro, un miliardo al di sotto dell’aumento di capitale da 3 miliardi realizzato soltanto lo scorso giugno.

L’Abi, dal canto suo, ha fatto sapere che il totale delle sofferenze lorde delle banche ha superato il monte di 200 miliardi di euro. Gli istituti di credito, proprio per rischiare meno con i prestiti alle imprese (che a causa della crisi fanno sempre più fatica a rimborsare), stanno quindi spingendo sui mutui a privati e famiglie, raddoppiati nell’ultimo anno (+97%).

L’associazione delle banche italiane ha fatto sua la precisazione dell’Eurotower, smorzando a sua volta l’allarme creato in un primo momento dall’annuncio proveniente da Francoforte: «La richiesta rivolta a un campione di banche europee – ha precisato l’Abi in una nota – tra cui anche alcune banche italiane, rientra nelle attività preliminari» di una task force creata ad hoc. «Si tratta di un esercizio ordinario di raccolta di informazioni (stock taking) su cui basare i lavori successivi e dunque non di una azione di vigilanza mirata all’adozione di misure specifiche nei confronti di alcune banche».

Anche il presidente della Consob, Giuseppe Vegas, ha provato a minimizzare le tensioni: «Siamo in una fase di volatilità, basta uno stormir di fronde» per generare scossoni, ma «sulle banche italiane non è in corso nessun attacco speculativo». In ogni caso, l’attività «della Bce – ha concluso – è una delle solite rassegne che periodicamente avviene, non c’è un motivo specifico per queste vendite».

Ma a quanto ammonta il totale dei crediti deteriorati in Italia? Sarebbero pari a circa 350 miliardi, di cui 200 miliardi le sofferenze: le informazioni però non sono precise, e proprio per questo Bce, Bankitalia e Consob stanno provando ad approfondire. Le sofferenze, quei crediti appunto ormai praticamente inesigibili, sono coperte tra il 40% e il 60% dagli istituti. Poi ci sono i cosiddetti «incagli», i crediti anomali non ancora diventati sofferenze: nei bilanci 2014 c’erano 113 miliardi di euro di «esposizioni a soggetti in situazione di difficoltà obiettiva, ma temporanea».

Con il passare del tempo, circa un terzo degli incagli diviene sofferenza, e la vigilanza chiede di triplicare le riserve sul singolo fido, con appositi accantonamenti a garanzia. Per non arrivare subito a registrare, e tutte insieme, cifre negative, si stima che le banche italiane tengano quasi metà di questi 113 miliardi incagliati «in via temporanea» da un triennio. Banchieri d’affari e operatori finanziari stimano che più o meno metà degli incagli odierni saranno sofferenze entro il 2017, e per coprirli a dovere serviranno accantonamenti per almeno una ventina di miliardi di euro.