Se la partita sui 795 miliardi di crediti deteriorati nell’Ue è ancora agli inizi, per certo sta vedendo l’Italia, che ne detiene 172, sola (o quasi) contro tutti. E’ quanto emerge dall’Ecofin a Bruxelles e dal Forum sulla vigilanza bancaria della Bce a Francoforte. Mentre sull’argomento, caldissimo, va segnalato l’attivismo “pro patria” di Antonio Tajani, presidente forzista dell’Europarlamento in quota Ppe, che attende per oggi la risposta dei servizi legali di Strasburgo sui presunti limiti dell’attività normativa della vigilanza della Bce sui “non performing loans”. Mentre domani, non a caso, la commissione affari economici dei popolari europei ascolterà proprio Daniéle Nouy, che guida il Consiglio di vigilanza della Bce, per discutere delle nuove disposizioni in materia di banche e crediti deteriorati.
A riprova della delicatezza della situazione, Tajani ha avviato a nome del Ppe anche una sorta di “dialogo politico” con il Consiglio Ue, riunendo a cena (complice l’Ecofin) i ministri finanziari di Italia, Germania e Spagna, i commissari Valdis Dombrovskis e Pierre Moscovici, e il presidente della commissione economica Roberto Gualtieri. Operazione di lobbying? Se lo è, all’Ecofin i risultati non si sono visti: sui crediti deteriorati ha preso la parola solo Pier Carlo Padoan: “Sono intervenuto sostenendo aspetti di metodo e di merito – ha spiegato poi il ministro italiano – perché l’addendum (cioè il piano della vigilanza bancaria teso a ridurre in tempi medio-brevi, da due ai sette anni, le sofferenze, ndr) va oltre i limiti istituzionalmente definiti dall’azione della Bce. Riteniamo che ci sia qualche forzatura legale”.
Padoan ha ribadito che gli interventi vadano fatti “in tempi ragionevoli, che evitino di generare nuove fragilità”. Il problema è che al Forum sulla vigilanza bancaria Mario Draghi non ha fatto sconti: “Anche se i livelli di npl sono scesi oggi al 5,5% da circa il 7,5% all’inizio del 2015, il problema non è risolto ed è il più importante da affrontare, perché l’incidenza dei npl sui bilanci delle banche resta sempre molto alta. Ed è importante lo sviluppo della vigilanza europea, non solo perché ha ridotto il rischio che le singole banche falliscano, ma anche perché, come speravamo, siamo riusciti a ridurre l’importanza della percezione del rischio bancario. Per questo una supervisione rigorosa è una condizione essenziale”.
Per il numero uno della Bce è necessario “uno sforzo comune fra vigilanza bancaria, le autorità di regolamentazione e le autorità nazionali”, oltre agli istituti di credito. Questo perché le banche con un elevato livello di npl “forniscono meno credito a imprese e famiglie. E tutti conosciamo i danni che alti livelli di crediti deteriorati producono alle banche e alla crescita”.
A ruota Daniéle Nouy: “Le banche devono smettere di negare la realtà. Quando lo fanno siamo in grado di affrontare i problemi. Ora stiamo lavorando con tutte le banche che hanno livelli di npl eccessivi. Stanno inviando i loro piani, che noi vagliamo per assicurarci che siano abbastanza ambiziosi, realistici e credibili”. I risultati? “Alcune banche hanno compiuto sforzi, altre sono rimaste indietro”. Unica consolazione: le debolezze sono concentrate nelle banche di dimensioni medio-piccole: “Sono importanti, ma non hanno dimensioni sistemiche”. Insomma, con il Qe ancora attivo, per Francoforte le banche hanno una finestra di opportunità unica. Mentre alcuni paesi, Italia in testa e con meno convinzione Francia, Portogallo e altri di minor peso, chiedono più tempo. Così come i banchieri, non solo italiani. Guarda un po’.