Non è raro trovare a Londra, affisse ad alcuni edifici, delle placche circolari in maiolica azzurra e bianca con delle scritte commemorative di personaggi famosi. Ho trascorso vario tempo in una casa di amici a De Vere Gardens, una strada non lunga ma piuttosto larga che parte da Kensington Road, dove si vedono due placche di questo tipo: la prima, su un palazzo a sinistra, rammenta il poeta Robert Browning, mentre, verso la fine, sulla destra, un’altra, al numero 34, parla di Henry James che lì visse per diversi anni.
È da scommettere che per quella via rassicurante deve essere passata molte volte una signora americana piuttosto avvenente, Caroline Fitzgerald, che fu buona amica di ambedue gli scrittori. La sua vita, relativamente breve, si divise tra le due coste dell’Atlantico, prima su quella americana e dopo in Inghilterra, in Francia, in Italia, e in lunghi e complessi viaggi, dove raramente le persone del suo mondo si spingevano. Nessuno meglio degli inglesi ha avuto la capacità di vivere come a casa propria nei luoghi più remoti della terra. Un’altra signora di quell’epoca, Lady McCartney, per fare un solo esempio, seppe raccontare bene gli anni trascorsi nel Turkestan cinese all’epoca del Great Game, come avvio alla Prima Guerra Mondiale: Kashgar era un luogo remoto davvero, l’ultima città dove sventolava l’Union Jack, oltre l’estremo Nord.
«The Portrait of a Lady», dal vero
La storia di Caroline Fitzgerald è stata di recente raccontata da Gottardo Pallastrelli in modo molto avvincente, al punto che il suo volume sembra la traduzione di un romanzo inedito di James. Ritratto di signora in viaggio Un’americana cosmopolita nel mondo di Henry James (Donzelli, pp. 256, euro 25,00, due ottavini a colori fuori dal testo; già recensito su queste pagine, 22/06/2018) narra la vita di Caroline, spesso più felice di quella della protagonista di The Portrait of a Lady, uno dei capolavori del grande romanziere. La vita della nostra signora, veramente vissuta, apparteneva al mondo vero, non fittizio, del romanziere, una società aristocratica e colta dove le signore ricche che venivano dall’America si sposavano con i discendenti delle grandi famiglie nobili ma non sempre facoltose. Si seguivano di solito certe regole: i matrimoni, ad esempio, non si scioglievano allora, non era chic divorziare. Caroline sposò nel 1889 Lord Edmond Fitzmaurice, fratello minore del quinto marchese di Lansdowne, uomo famoso, di buon nome, governatore del Canada e a capo di altre grandi cariche dell’Impero, che finì a Londra come Ministro degli esteri. Caroline, membro dunque dell’aristocrazia, divenne intima di grandi personaggi pubblici come Lady Reay, moglie del Vicere dell’India.
I giochi erano fatti, ma Lady Edmond (come veniva abitualmente chiamata) si rifiutò di vivere infelice con un uomo impotente rinunciando a privilegi e titoli; andò oltre lo scandalo e preferì trasferirsi in Italia sposando un gran borghese né molto ricco né molto bello. Ciò non impedì a Henry James, suo buon amico, di scrivere una frase non molto lusinghiera su di lei: «sono andato allo stravagante matrimonio di Lady Edmond con il suo nanerottolo italiano». Parlava di un medico non incolto e non proprio borghesuccio, Filippo De Filippis. Alle nuove nozze, celebrate diversi anni dopo dalle prime, nel settembre 1901, il grande romanziere si riferisce a lei chiamandola ancora con il suo titolo ormai decaduto, ma alle nozze assistettero i principi Corsini, i Rasponi di Ravenna e i Castagneto di Napoli (antenati di Marella Agnelli). È vero che il medico italiano non faceva parte della stessa società internazionale di Caroline, ma comunque era abituato a fare dei lunghi viaggi in posti remoti con un’altezza reale, il Duca degli Abruzzi. Questi viaggi non erano adatti per la nostra signora, la quale adorava il suo nanerottolo, evidentemente non affetto da disturbi di alcun tipo: la sua curiosità per l’Oriente era inesauribile. Purtroppo Caroline invece soffriva di qualche problema polmonare, i ripetuti soggiorni in luoghi estremamente complicati finirono col tempo per costarle la vita – morì infatti a poco più di quaranta anni.
È curioso che in questo mondo così «artistico» non sia mai menzionato Bernard Berenson, che già in quegli anni era ben noto nel bel mondo di Londra, di Parigi, di Firenze, dove nel 1901 aveva acquistato la sua villa I Tatti a Settignano. Caroline era nata nello stesso anno di Berenson, 1865, ma nella East Coast e non in Lituania come il grande critico d’arte. Nasceva da gente ricca e ben nota mentre il suo coetaneo era povero e ebreo e divenne famoso non per nascita ma con l’aiuto di milionari bostoniani che finanziarono i suoi studi a Harvard, non lontano da dove nacque Caroline.
Non è casuale che lei abbia conosciuto altri amici di Berenson come Cagnola, vale a dire Don Guido Cagnola, gran personaggio dell’epoca, collezionista, direttore della «Rassegna d’arte» e proprietario della villa della Gazzada, casa ancora oggi famosa. Nel volume che esaminiamo non si menziona mai Berenson, ma Caroline parla a lungo dei quadri di Paolo Veronese a Verona, non così noti allora. Comunque una donna colta come lei, così interessata a questo argomento, non poteva non conoscere il libro di Berenson The Venetian Painters of the Renaissance, apparso a New York nel 1894, che rese l’autore subito famoso. Inoltre una delle più grandi amiche di Berenson e di Henry James, la romanziera americana Edith Wharton, scrittrice famosa e nota anche per la sua altissima posizione sociale, fu pure amica di Caroline, e facevano tutti parte di quel gruppo di esiliati americani di lusso in Europa.
Caroline Fitzgerald era un personaggio della sua epoca, e la sua epoca era quella di James, di Berenson, di Miss Wharton e, appena un po’ prima, di Oscar Wilde che aveva insegnato a tutti a diventare opere d’arte viventi, certi che fosse sempre la natura a imitare l’arte. Fiori di serra, se si vuole, vittime della gloriosa affettazione del grande ingegno dell’irlandese. Spesso questa società angloamericana viveva da una parte all’altra senza appartenere del tutto a nessun luogo. L’esempio massimo di questo atteggiamento, se così lo possiamo chiamare, fu James, alla fine più inglese che americano, al punto di sentirsi obbligato a cambiare nazionalità. Caroline, oltre che moglie di un lord, ricca per proprio conto e amica di grandi signori del continente come si è già detto, era stata autrice di un paio di libri di poesie, ambedue dedicati a Browning, il primo recensito da Oscar Wilde con grande benevolenza. Ne parla in un tono talvolta un po’ scuro: «le azioni si svolgono alla luce del sole ma l’anima agisce nell’oscurità». Su una delle poesie che compone il volume, Wilde aggiunge: «è un potente studio psicologico dell’animo umano, una vivida presentazione di un momento straordinario dalle tonalità accese in una vita rovinata e incompleta». A volte, ammettiamolo, la signora è fin troppo enfatica, ma non priva di suoni musicali piuttosto decisi: «Oh, feel my heart, Persephone, With thine immortal pain».
Sentimenti artefatti di anni mutevoli
Tutto è dunque prezioso come lo erano i sentimenti artefatti di quegli anni mutevoli. Non è facile intendere quella sensibilità traslucida e intermittente ma non si sorrida più del dovuto. Quel mondo fin troppo raffinato resta più saggio di quanto potesse apparire a occhi frettolosi. D’altra parte non esistono veri cosmopoliti che, a forza di non volere assomigliare ad alcuno, finiscono per sembrare americani in Inghilterra e inglesi in America. Henry James, maestro ideale della giovane donna, resta un grande scrittore ma diventa un genio quando si occupa di fantasmi come fa in Il giro di vite, dove tutto è forse falso, e comunque non ha importanza alcuna se mente o se nulla è mai del tutto vero.