Pietro Pascarelli: «La creazione artistica trova forme espressive e parole per ciò che è al di là di ogni nota significazione e di ogni codice sintattico. L’inconscio può dare ispirazione, aprire un buco magico che fa vedere ciò che era celato prima. In 2001: Odissea nello spazio Kubrick vede con gli occhi vitrei dell’astronave, col distacco e la passione frenetica di un nume, sullo sfondo di un cosmo nero solcato da luci fredde, la silente traversata nello spazio-tempo di un giovane astronauta. Il viaggio si compie attraverso sussulti e traumi molecolari nel vortice dell’energia e della materia per concludersi, dopo visioni e transizioni insostenibili, con l’approdo in una mai vista quiete, in cui il giovane si riscopre nel futuro, imbiancato e vecchio. Un stato di vecchiaia senza storia e senza un’esistenza alle spalle che si possa rimpiangere o ricordare. Su una lavagna nera in quel biancore potrebbero affiorare algoritmi e altri segni matematici, la lingua del dio.

La fantasia si libera e vibra su una specie di ragnatela che raccoglie farfalle e boulevard. Si ritrovano insieme alberi e signorine, un fiume e Rimbaud, Dillinger e i fratelli Marx. Un mondo immaginario si mette in tumulto, una diversa realtà che sfuma nel sogno ma lascia una traccia nel reale. Una spinta dell’inconscio che minacci gli equilibri difensivi e metta a nudo il rimosso dà luogo a un agire (agieren, acting out), e comporta l’abbandono del registro della parola e del ricordo per azioni inspiegabili al soggetto stesso. Ma è possibile che la fantasia inconscia possa farsi strada con un effetto diverso: la liberazione di rappresentazioni gioiosamente vitali in un flusso creativo inusitato, purché il soggetto dell’inconscio presenti la ricettività necessaria per farsene trasportare. Qualcosa di simile a ciò accade nel motto di spirito, o nell’estasi. Qualcosa che presuppone che l’inconscio possa essere ripensato non come la casa dell’orrore, ma entro una prospettiva dionisiaca, come vita e balsamo per la vita».

Sarantis Thanopulos: «L’inconscio è spesso pensato come luogo spettrale di desideri perversi, inammissibili e di forze pulsionali informi. Più abitato dalla morte che dalla vita. Ricettacolo dell’immondizia dei nostri sentimenti e pensieri proibiti, a cui è meglio sbarrare ogni via di comunicazione con la rappresentazione di un mondo governato da nobili ideali. In realtà l’inconscio corrisponde a una rappresentazione di sé e del mondo a stretto contatto con ciò che nell’essere umano è più naturale, spontaneo e autentico. Una rappresentazione che -pur non ignorando il dispiacere, il dolore e le discontinuità destabilizzanti, luttuose, ma anche trasformative, dell’esperienza- non è organizzata e, parzialmente, conformata, “corrotta”, dal principio logico della non contraddizione. In essa i contrari coesistono e i conflitti, se non superano una certa soglia, sono configurati come parte di un unico movimento.

Se la soglia è oltrepassata, il movimento, con la sua rappresentazione, è sospeso in corrispondenza dell’opposizione. L’impasse del desiderio crea un ingorgo nel fluire dell’esperienza. È l’ingorgo a creare i “fantasmi” e i “mostri” che popolano il nostro immaginario, abitando non l’inconscio, ma il luogo intermedio di reciproca compenetrazione tra la rappresentazione inconscia e quella conscia della realtà. Ogni ostacolo serio al libero scorrere della vita in noi, genera angoscia e figure inquietanti che invadono il pensiero e l’immaginazione. Nei casi più gravi nell’inconscio si aprono delle falle.

L’inconscio non è inquietante. È la tessitura di fondo sul quale si sviluppa la trama vivente della nostra esistenza, la fonte inesauribile della nostra creatività. È “presente” in tutto quel che viviamo, esperiamo, è il senso del nostro respiro che non è linguisticamente pensabile».