L’ampia pubblicistica che ha accompagnato il ventesimo anniversario della morte di Bettino Craxi si è svolta tutta, tranne rare eccezioni, intorno al concetto di «riabilitazione». Un concetto che niente ha a che vedere con la necessità del «giudizio storico».

La riabilitazione, in questo caso, riguarderebbe piuttosto la dimensione giudiziaria del problema Craxi. Riabilitato, l’ex presidente del consiglio avrebbe trascorso i suoi ultimi mesi come «rifugiato», perseguitato ingiustamente dal suo paese e non come «latitante».

Allo stato attuale delle prove che emergono dalle sentenze, la riabilitazione è puro flatus vocis, desiderio politico propagandistico. La verità giudiziaria non coincide col giudizio storico, anche se il giudizio storico non può prescinderne. La verità giudiziaria ne rimane comunque elemento, seppure in un complesso di lineamenti plurimi, di diverse temporalità, di distinzioni molteplici che sono indispensabili al «presente come storia».

Il metodo inerente al «presente come storia» è esattamente il contrario di quello che abbiamo visto scorrere negli scritti dei tanti che si sono epressi in questo periodo sulla necessità della «riabilitazione». Essi hanno costruito una sorta di lavagna con da una parte le disavventure giudiziare, derubricate tra l’altro al solo finanziamento illecito del partito, e dall’altra i ruoli di uomo politico lungimirante, avveduto, agente su vasti orizzonti. Ed il giudizio storico deriverebbe dal diverso peso tra «meriti» ed «errori» da valutare in maniera nettamente separata. Il giudizio storico, invece, mescola inevitabilmente e soprattutto cerca le relazioni tra i «meriti» e gli «errori».

Le molte domande che un serio esame deve porre al problema Craxi non possono limitarsi alle brevi temporalità della segreteria e/o del governo del leader socialista. Bisogna interrogarsi sulla natura dei profondi mutamenti intervenuti nell’economia e nella società, sulla conflttualità provocata da questi mutamenti, sui loro esiti e sul ruolo che Craxi ed il craxismo hanno avuto su tali esiti.

Craxi diventa segretario del Psi nel momento in cui il messaggio della Mont Pelerin Society, del Gruppo Bildberg, della Trilateral Commission, nate in tempi diversi ma con il medesimo orizzonte teorico e politico, comincia ad imporsi. Nel momento in cui il il clima neo ed ordoliberale comincia ad esprimersi con la tendendenza all’inversione della direzione rispetto ai «trenta gloriosi» che avevano visto un allargamento senza precedenti della sfera dei diritti civili e soprattutto dei diritti sociali. In questo nuovo contesto tale allargamento viene giudicato come «eccessivo», un «eccesso di democrazia».

Quale furono le risposte di Craxi alle tendenze in atto? Il taglio, tutto simbolico e perciò di particolare significato, di alcuni punti di scala mobile e la proposta di una «grande riforma» istituzionale in grado di limitare gli «eccessi di democrazia». E, in un momento in cui le resistenze politiche, sindacali e le logiche del conflitto erano ancora forti, la logica del leaderismo, di un capo capace di spezzare «lacci e lacciuoli». Bettino Craxi fu davvero in grado di incarnare la forza del leader utilizzando anche gli strumenti esteriori della rappresentazione: l’imprenditore politico nella cornice di una fortuna dovuta solo a sé stesso.

Da questo punto di vista il primo presidente del consiglio socialista nella storia dello stato italiano, è anche l’iniziatore, in forme grandiose, della pratica della corte. Le forme della corte, su scala diversa, tendono poi a riprodursi ad ogni livello di fedeltà: dei fedeli del centro, dei conti palatini e dei cacicchi locali. La corte, con tutto quello che comporta di ricerca di favori e di privilegi attraverso ogni tipo di mercimonio, diventa, quindi, un aspetto del governo politico, una forma tendenzialmente corruttiva.

Non è un momento a margine, da segnare nella lavagna dalla parte degli «errori», bensì consustanziale all’esercizio del potere in quello specifico contesto.

L’Italia di oggi vive una realtà che è per tantissima parte erede delle scelte e delle pratiche politiche craxiane. In questo senso Craxi, come Berlusconi del resto, è entrato da protagonista nella storia del nostro Paese. Il giudizio che diamo dell’Italia contemporanea è aspetto non secondario del giudizio su Craxi e i suoi numerosi epigoni assai attivi anche oggi.

Quanto alla «grandezza» o meno del personaggio, ebbene il «giudizio storico» non si pone problemi di misurazione.