In occasione del ventesimo anniversario della morte di Bettino Craxi , anticipiamo un brano del libro «Un autunno a Hammamet» di Carmine Fotia, postfazione di Goffredo Bettini (Ponte Sisto) in uscita il prossimo 27 gennaio. È un estratto dall’ultima intervista televisiva, rilasciata all’autore per Telemontecarlo.

«L’affaire Mithrochin non è una bufala: è un capitolo di un libro, non sappiamo se completo o incompleto, ma che certamente non esaurisce il problema della presenza e dell’influenza dei servizi del patto di Varsavia in Italia. Che poi ci pone un altro grande problema che è quello del finanziamento dei comunisti italiani o di alcune loro frazioni. Non credo che sia una bufala, pur se l’affare mi pare sia stato trattato con una certa leggerezza. C’è molta gente che non ha nulla a che vedere con il Kgb e si è vista appioppare l’epiteto di spia, cosa del tutto irragionevole e ingiusta.

Dal rapporto emerge l’interessamento del Kgb nei confronti dei movimenti pacifisti contro l’installazione degli euro missili. Lei ebbe l’impressione di trovarsi di fronte a un movimento di spie?

No. Tuttavia, a fianco del fondo internazionale di solidarietà tra i partiti comunisti che risale al 1974, successivamente fu fatto dall’Urss un fondo per la pace che aveva una consistenza finanziaria superiore al primo fondo e non c’è dubbio che esso fu usato per sostenere un movimento pacifista a senso unico, anche se esiste un sentimento pacifista che è un sentimento naturale e indipendente, ma non c’è dubbio che certe campagne e certe manifestazioni furono sostenute: lo pensavo allora e lo penso adesso.

Nel dossier si allude anche al coinvolgimento di Francesco De Martino, segretario del Psi prima di lei. Ce lo vede De Martino come spia del Kgb?

No, non ce lo vedo proprio. Si vedrà se qualcuno ha parlato a suo nome, o se questi invece credevano che potesse essere un punto di riferimento, magari per il solo fatto di essere stato molto gentile in qualche occasione ufficiale. Ma che Francesco fosse una spia lo escludo nel modo più assoluto. Per altri casi, non saprei dire, bisogna andare a vedere di cosa si tratta. In generale l’influenza sovietica nel Psi fu dapprima aggredita e poi sgominata nel 1956 con la sconfitta dei cosiddetti “carristi” e con la scissione che ne conseguì. Sai io sono cresciuto nel partito e certe cose le ho viste sin da ragazzo. Da quel punto in poi non ci fu alcuna influenza dell’Urss sulla politica del Psi. (…) Ero a Mosca da presidente del consiglio, mentre era aperta la questione degli Euromissili che stavo decidendo di installare sul suolo italiano. Alloggiavo in una villa ed ero a cena con mia moglie e i miei familiari, quando arrivò Gromiko, ministro degli esteri, accompagnato da un interprete. Si sedette a tavola con noi, come se fosse una specie di nonno e cominciò a dirmi: “Ma tu perché vuoi installare questi missili? Così peggiori la situazione…” ed io gli risposi: “Togliete voi i missili puntati sull’Europa e noi rinunceremo a installare gli euromissili”. La decisione italiana di installare gli euromissili risulterà molto importante nella storia del mondo, nella storia della pace nel mondo. Lo riconosce per esempio Shevarnaze il quale sostiene che l’Italia, aprendo la strada all’installazione degli euromissili in Europa, pone il gruppo dirigente sovietico dinnanzi alla necessità di riflettere e da lì cominciò poi la disponibilità al negoziato che poi si concluse con l’azzeramento degli euromissili da una parte e dall’altra, che fu il primo grande passo per la fine della guerra fredda. In quella situazione internazionale così difficile l’Italia ebbe un ruolo importante e molto coraggio, nonostante i pacifisti che stavano in piazza senza avere le idee molto chiare.

Ma anche i pacifisti che dicevano che i missili non andavano messi né da una parte né dall’altra qualche ragione ce l’avevano, o no?

Ma questi pacifisti erano una minoranza, perché la maggioranza era abbastanza a senso unico, e comunque tra i pacifisti che non volevano i missili né da una parte né dall’altra c’ero anche io.

Cosa fa pensare, a lei che è stato il più tenace avversario politico di Berlinguer, leggere dagli archivi che l’Urss lo considerava il suo peggior nemico?

Intanto, io non sono mai stato avversario tenace di Enrico Berlinguer, semmai è lui che mi ha sempre considerato un avversario politico. Io ho sempre cercato di trovare un modo d’intesa…

Questa è la sua lettura di questa vicenda…

Questa è la verità, come la storia si incaricherà di dimostrare. Con Enrico, che conoscevo sin da ragazzo, ho sempre cercato di trovare una strada che consentisse di trovare il futuro, perché il presente non offriva le condizioni per quell’alternativa di cui lui parlava e che, nelle circostanze date, avrebbe causato la sconfitta secca della sinistra in Italia. Io cercavo di creare via via le condizioni per un miglioramento dei rapporti a sinistra.

Torniamo al giudizio dei sovietici su Berlinguer.

I russi si insospettiscono per le posizioni che Berlinguer andava assumendo, a cominciare dall’eurocomunismo che appare come una nuova teorizzazione del comunismo e si trovano sorpresi e infastiditi dalle posizioni che vengono attribuite a Berlinguer di un’accettazione più o meno entusiastica dell’alleanza atlantica. E quindi i russi tirano i remi in barca e poi giungono a una rottura sulla questione dell’Afghanistan. Tuttavia, mentre cercano di organizzare una lotta di frazione nel Pci, e a tale scopo finanziano la corrente di Cossutta, dall’altro mantengono rapporti formali, cordiali, corretti, e anche rapporti finanziari con il Pci di Berlinguer. Secondo me i sovietici fanno una sorta di doppio gioco: lo vogliono tenere sotto controllo perché non si fidano più, ma non vogliono rompere. Si vedrà poi, quando cambiano i dirigenti: Gorbaciov e i suoi collaboratori che erano cresciuti alla scuola di Andropov erano amici di Berlinguer.