La parola videoclip ci riporta, come una sorta di cabina temporale, magicamente, negli anni Ottanta, con strascichi nei Novanta. È il periodo, per gli States, di MTV che il primo agosto 1981 apre le danze della sua rivoluzione televisiva con l’iconica frase «Ladies and gentlemen, rock and roll». L’Italia non è da meno: il 15 settembre 1977 sulla piccola emittente Telemilano 58 esordisce, girata in 16 mm, la trasmissione Superclassifica Show con il mitico Telegattone, il geniale conduttore Maurizio Seymandi e il tecnologico Dj X, luccicante come una sfera stroboscopica e dal sapore di sci-fi alla Spazio 1999. Un programma avanguardista, che avrà il suo apogeo negli anni Ottanta, quando sbarcherà su Canale 5 con i tormentoni del suo magico micione, amato da grandi e piccini. «Come tutti i gatti, vivo sopra i tetti, appoggiato all’antenna centrale, io controllo la tv locale». MTV e Superclassifica Show, entrambi in modi diversi, canali e show pionieristici e innovativi, renderanno più briosa l’idea vetusta di Hit parade/Top Ten, presentando una concezione svecchiata di musica, più visiva, più «mangia e bevi», secondo la filosofia zen anni Ottanta di Wall Street, yuppie e paninari.
Il videoclip era ed è a tutti gli effetti un breve cortometraggio che rende cinematografica l’idea di canzone, portando per immagini le stesse sensazioni del brano che mette in scena. Se il videoclip guarda al cinema, il cinema stesso comincia a guardare al videoclip con un linguaggio innovativo che riporta a MTV e ai suoi programmi schizzati e schizofrenici. Così abbiamo Cobra di George Pan Cosmatos, Top Gun di Tony Scott, e persino Sotto il vestito niente di Carlo Vanzina, ibridi a metà tra musica e film, nei quali il più delle volte è la potenza, appunto, della musica coreografata per immagini a prevalere. Se però nei ricordi ci fermiamo nella decade anni Ottanta, bisogna ricordare che il videoclip ha superato le mode, cambiando, mutando e sopravvivendo ai defunti video juke box e a reti tv come Music Box. Presenti nell’industria musicale allora come oggi, tra i videoclip più strani ci sono però quelli che usano il linguaggio dei fumetti e dei cartoni animati, alcuni così straordinari da essere anche più interessanti della canzone che dovrebbero lanciare. Di questi parleremo.

GLI ANTENATI
Sicuramente uno dei più famosi videoclip con influenze fumettistiche è Take on Me, diretto da Steve Barron per il gruppo norvegese degli A-ha. Siamo in piena storia della musica, un videoclip che influenzerà tutti gli altri a venire, un lavoro iconico su una canzone iconica di un decennio troppo spesso sospirato e mai davvero studiato. Però prima di parlarne bisogna fare un passo indietro, di almeno 30 anni, perché Take on Me non è il primo videoclip a fumetti girato, è sicuramente il più incisivo e venerato, ma non il primo.
Siamo in Cecoslovacchia, nel 1958, quando viene girato Dáme si do bytu (letteralmente Andiamo a casa), un corto musicale di tre minuti circa, interpretato dagli attori Irena Kacírková e Josef Bek. A girarlo con grande inventiva è il regista Ladislav Rychman, che qualche anno più tardi realizzerà due ottimi musicarelli made in Praga, Starci na chmelu (1964, L’amore si raccoglie in estate), una risposta al successo di West Side Story, e, soprattutto, Hvezda pada vzhuru (Una stella sta cadendo verso l’alto), del 1975, dalla durata consistente (136 minuti), ma capace, come poche altre opere, di commuovere ed emozionare il suo pubblico. In Dáme si do bytu, Irena Kacírková e Josef Bek nostrano buonissime doti canore, il brano in stile doo-wop, composto da Vlastimil Hála su testi di Vratislav Blazek, è davvero molto orecchiabile, e soprattutto la messa in scena è movimentata grazie all’idea, semplice ma geniale, di riempire una scenografia teatrale, povera e spoglia, di elementi disegnati.
La casa idealizzata dai due attori è un quadro che man mano si riempie di vasi, sedie, tavoli, un arredamento da sogno per una casa, appunto, dei sogni. Girato in bianco e nero Dáme, si do bytu guarda con un occhio i classici Disney e anticipa l’idea di un fumetto musicale che sarà alla base del miticizzato Take on Me. Ci spostiamo in Francia, una decina di anni dopo, nel 1967. L’anno precedente sarebbe esploso, come una bomba atomica, nelle sale di tutto il mondo uno dei primi cinecomix, Barbarella, tratto dall’omonimo fumetto di Jean-Claude Forest, con una sexy Jane Fonda nei panni della protagonista, in quel gioco vedo e non vedo tutto francese. Il film, girato dal maestro dell’erotismo Roger Vadim, diventerà negli anni un’opera seminale nello studio della cultura pop.
Anticipandola di un anno, Serge Gainsbourg scrive Comic Strip, una canzone piena di riferimenti al mondo delle storie illustrate. Il video che viene realizzato è coloratissimo, anche in questo anticipatore di quel pastiche di colori e follia pop che sarebbe stato Diabolik di Mario Bava, e vanta una bellissima Brigitte Bardot nei panni, appunto, di Barbarella. Come in Les p’tits papiers e Bubble Gum, Gainsbourg scrive una canzone con un’atmosfera da Charleston anni Venti con però inaspettate contaminazioni swing da big band orchestrale. Il testo è deliziosamente infarcito da suoni onomatopeici (Chiudi gli occhi, Crack! baciami, Smack! Shebam! Pow! Blop! Wizz! Shebam! Pow! Blop! Wizzzzzz!) con un occhio sicuramente al modello di Batman, il telefilm culto del 1966. Il video, inframmezzato da intermezzi disegnati, segna un confine tra musica e fumetto mai raggiunto prima.
È il 1978 quando viene girato Tom Waits for No One, un videoclip completamente animato, musicato dalle note della rauca e ubriaca The One that Got Away. La tecnica usata per questo lavoro è il rotoscopio, capace di rendere realistiche le figure disegnate, ricalcate direttamente da fotogrammi filmati dal vivo. Registi celebri come Ralph Bakshi, Max Fleischer e lo stesso Walt Disney avevano sdoganato questo sistema, complesso e costoso, nei loro più celebri lavori. Per Tom Waits for No One, interamente colorato a mano, furono usate cinque telecamere, due spogliarelliste, 13 ore di riprese video, un totale di 5.500 fotogrammi per un corto live action di 5 minuti e mezzo, davvero impressionante anche nel 2021. Il videoclip fa respirare le note dei primi album di Tom Waits, soprattutto il suo quarto lavoro Small Change del 1976. Ritroviamo le fumose atmosfere dei locali notturni, la poesia dell’autodistruzione, dei dischi jazz anni Cinquanta, un universo fumoso percorso da cantanti strafatti e prostitute agli angoli delle strade, di piccoli perdenti e musica, di inferno e blues. La voce del cantante, rauca e penetrante è qualcosa di unico e conferisce a Tom Waits for No One una colonna sonora quasi alienante, ipnotica e assolutamente decadente. Così il video diventa un nonsense delizioso, uno squarcio di vita vissuto e fotografato, bellissimo e poetico, di un uomo che, ubriaco, si trascina in una strada e incontra una prostituta. È l’elegia dei perdenti, degli ultimi, dei disperati che mai come in Tom Waits, nella sua musica e nei suoi graffianti dischi spuntinati, riesce ad essere talmente tangibile per i suoi ascoltatori, e che proprio in Tom Waits for No One palesa la carne irreale di un cartone animato, con il seno della donna che irretisce il cantante, irreale come solo una sbronza può essere.

DUE CULT
Arriviamo finalmente a Take on Me degli A-ha. Diretto da Steve Barron, regista di due cult della cultura pop come Electric Dreams e Tartarughe ninja alla riscossa, è, come visto, non il primo videoclip animato, ma il più importante, il videoclip che servirà da modello per tutti quelli che verranno dopo. La storia di questa canzone, una delle più celebri della band norvegese, è curiosa: all’uscita fu un clamoroso flop, tanto da far pensare che la carriera della giovane band, un gruppo di ragazzi con la musica elettropop nel sangue e l’amore per i Doors, finisse lì, miseramente, alla 137ª posizione della classifica inglese. Complice non solo un arrangiamento ancora acerbo, non molto accattivante, ma anche un atroce videoclip insipido e uguale a mille altri già presenti su MTV. La cosa strana è che gli A-ha non si danno per vinti, rimettono mano al brano e… floppano ancora. È il loro manager a spingere la Warner a girare un altro video, questa volta quello animato, e la canzone diventa un tormentone, i 45 giri della band sono tra i più venduti, un successo inaspettato che ha reso Take on Me celebre soprattutto grazie all’inventiva di Barron. «Non abbiamo dubbi sul fatto che il video abbia reso la canzone un successo – raccontarono i membri del gruppo in un’intervista -. La canzone ha un riff super accattivante, ma è un brano che devi sentire alcune volte prima che ti piaccia».
Il videoclip, uno dei più importanti della storia dopo Thriller di John Landis, fu realizzato, come per Tom Waits for No One, in rotoscopio. Vennero filmati circa tremila fotogrammi e ridisegnati a mano, il risultato è sorprendente, modernissimo e con una storia quasi cinematografica. Vediamo nel videoclip una ragazza bionda, interpretata dall’attrice Bunty Bailey (all’epoca accreditata come la compagna del leader degli A-ha Morten Harket), seduta in una caffetteria (il Kim’s Cafe, ora Savoy Cafè, di Londra), intenta a leggere un fumetto con dei motociclisti come protagonisti. È l’inizio: il mondo animato irrompe nel reale, è un bianco e nero molto più colorato emotivamente della grigia esistenza della realtà. In 4 minuti scarsi Steve Barron riesce non solo a valorizzare il pezzo elettropop della band, la bellezza efebica di Morten Harket, ma a girare una storia d’amore emozionante tra due ragazzi, divisi non solo da due universi incompatibili e sconosciuti, ma anche dall’età adulta che incombe, quella che spinge la cameriera della caffetteria a gettare il fumetto, l’età delle responsabilità e dei sogni abbandonati. Il videoclip è coloratissimo nella parte live e in bianco e nero in quella animata, è cinema, è musica, è incredibilmente accattivante.
È del 1991 la canzone di Matthew Sweet, Girlfriend, un brano pop rock che conquistò presto le classifiche dell’epoca grazie proprio al suo efficace videoclip. Girlfriend è anche il titolo dell’album, il terzo dell’artista, il più intimo e doloroso, nato dopo la rottura con la compagna, un lavoro che mischia sapientemente il pop più orecchiabile con temi musicali più maturi, stilisticamente debitore a Revolver dei Beatles o al primo Neil Young. Sweet si circondò di talenti della musica come Richard Lloyd, ex membro della band Television, e Robert Quine, uno dei cento chitarristi più di talento secondo Rolling Stone, già collaboratore di Lou Reed, Brian Eno e Tom Waits, tra gli altri. A girare il videoclip fu chiamato Roman Coppola, figlio del celebre regista Francis, al suo primo lavoro. In Girlfriend vengono utilizzati spezzoni presi da un anime giapponese, Space Adventure Cobra, del 1982, diretto da Osamu Dezaki, ma l’uso sapiente tra i filmati live e il girato animato, lo stile schizofrenico e veloce, rendono il lavoro appassionato e quasi straziante, come la ferita ancora sanguinante per una storia d’amore finita. Matthew Sweet non farà mai segreto della sua passione per i manga o i film giapponesi d’animazione, tanto che, per mettere in scena un altro brano di Girlfriend, il melodico I’ve Been Waiting userà immagini tratte dal cartone Lamù-La ragazza dello spazio (Urusei Yatsura).
Destino strano invece quello di Hold Me, Thrill Me, Kiss Me, Kill Me, un pezzo punk rock degli U2 del 1995 per il film Batman Forever di Joel Schumacher. Infatti, la canzone ottenne un successo straordinario raggiungendo la seconda posizione in classifica nel Regno Unito, la prima in Irlanda e la sedicesima negli Stati Uniti d’America, ma fu candidato sia per il prestigioso Golden Globe Award che per gli infamanti Razzie Award, riuscendo a perderli entrambi. Era sicuramente un pezzo non troppo commerciale in una colonna sonora che tendeva più al r’n’b e al soul che al rock, come dimostra uno dei brani più apprezzati, il mieloso Kiss from a Rose di Seal, già presente tra l’altro nella colonna sonora de La storia infinita 3. Hold Me, Thrill Me, Kiss Me, Kill Me invece è poco accomodante a cominciare dai testi («Ti vesti come tua sorella/Vivi come una prostituta/Non sanno quello che stai facendo/Piccolo, dev’essere arte/Sei un mal di testa in una valigia/Sei una star»), una critica acida al divismo e al successo, nichilista e disillusa come un libro di Brett Eaton Ellis. È il video musicale, però, ad essere la cosa più straordinaria e sorprendente: quasi cinque minuti di idee, icone pop e l’intero mondo di Batman deflagrato come sotto bombardamento, la band degli U2 che si sdoppia e combatte, in versione rotoscopio, con i propri alter ego. ci riporta a una Gotham City coloratissima e caleidoscopica nella quale Batman è presente solo sullo sfondo. Tra Elvis impazziti alla guida di auto, Le lettere di Berlicche di C.S. Lewis che preannunciano l’arrivo di MacPhisto l’alter ego diabolico di Bono, si arriva al sorprendente finale. Batman si toglie la maschera ed è il diavolo, ma il diavolo si toglie la maschera ed è Batman, bene e male fanno l’amore, si confondono, diventano una sola cosa in una città così malata e putrida da avere bisogno, come Prince cantava, «di un clistere». D’altro canto Jack Napier/Joker interpretato da Jack Nicholson lo aveva predetto: «Hai mai ballato con il diavolo sotto il pallido plenilunio?». La fascinazione del male arriva alla fine a corrompere anche il bene. Hold Me, Thrill Me, Kiss Me, Kill Me per questo è uno dei video più plumbei e funerei mai girati, uno dei migliori lavori concettuali per una canzone.

ALL’ITALIANA
In Italia invece abbiamo almeno due videoclip degli 883, Il grande incubo (1995), e La regina del Celebrità (2000), che utilizzano cartoni animati o disegni a fumetti al proprio interno. Se il secondo, un atroce motivetto disco pop sul tema, caro a Max Pezzali, degli anni passati che mai ritorneranno, meglio esposto nel passato, vanta una buona animazione in stile manga realizzata dalla casa di produzione toscana Stranemani, è il primo ad essere invece molto più interessante. Il mondo e la filosofia degli 883, quasi pascoliana nel passaggio tra giovinezza e età adulta, viene filmata in uno straordinario videoclip che vanta il contributo nelle tavole a fumetti del disegnatore Claudio Villa, copertinista di Dylan Dog. La canzone non è niente di che, ma il video musicale riesce ad essere un omaggio sentito, commovente e riuscito al mondo dei fumetti.
E ancora il videoclip Che t’aggia dì della coppia Mina/Celentano nel quale i due cantanti sono ritratti come personaggi Disney in una Napoli dal sapore di Paperopoli, un gustoso omaggio ai fumetti di Topolino. L’amore per i cartoni animati del Re degli ignoranti, sfocerà in tempi recenti nel disastro artistico di Adrian, ricco e fatiscente cartoon a metà tra il delirio e Joan Lui, tra la ridondante banalità popolare e il capolavoro, un po’ come tutta la filosofia celentanesca. Prendere o lasciare.
Occhi bassi è una canzone della band Tre Allegri Ragazzi Morti, presente all’interno del loro essenziale album Mostri e normali. Il rock alternativo del gruppo riesce a far convolare a nozze musiche prettamente punk con influenze blues e indie rock statunitensi. Il videoclip della canzone è un omaggio alla rivista francese di fumetti Métal Hurlant. Ritroviamo nel video le stesse atmosfere, a metà tra il fantascientifico, il supereroistico e l’erotico, questo grazie soprattutto ai magnifici disegni di Davide Toffolo, leader della band. Il connubio tra i testi potentemente romantici («Occhi bassi, quando cammini/Dentro ai piedi che tesoro hai?/Occhi bassi, dritto in faccia non mi guardi mai/E hai pianto per un film/E hai chiuso da poco/Con chi non t’ha capita e forse non ti capirà mai/Occhi bassi, dritto in faccia non mi guardi mai») e la forza delle immagini, creano il miglior videoclip italiano di sempre. Quel mix genuino di sentimento e musica ci riporta poi alle radici di tutto, quel Take on Me che ha segnato l’inizio di un genere, di questo viaggio attraverso i migliori videoclip a cartoni animati.