I dieci anni di crisi. Alcuni fattori territoriali come i crack del Monte dei Paschi e di Banca Etruria, fra i principali erogatori del credito nella regione. Lo strangolamento degli enti locali, principali destinatari dei robusti tagli alla spesa pubblica operati dal 2009 ad oggi. Si deve partire da qui per capire la crisi del «modello toscano», riflessa in un voto di profondo malessere sociale, concentrato soprattutto in quelle aree costiere dove, non per caso, il voto a M5S e Lega è stato travolgente.

Eppure il Pil toscano ha chiuso il 2017 con una crescita dello 1,3%, con un +0,4% rispetto al 2016. Ma sul punto Ires Toscana, il centro studi economico della Cgil, nel primo focus sull’economia regionale del 2018, ha definito un concetto che fa capire la situazione: «Si consolida la ripresa, ma il lavoro resta precario e diminuiscono reddito e unità di lavoro», esplicita Gianfranco Francese.

Sul primo versante, quello della ripresa, rispetto al 2016 c’è una buona dinamica degli investimenti (+3%) e dell’export (+4%). Ma gli stessi investimenti, crollati nei primi anni di crisi e ora alimentati sia dalle politiche di incentivo che da quelle del credito con bassi tassi di interesse, restano sempre al di sotto del 2007. Così come il Pil non ha ancora recuperato i livelli pre-crisi.

Quello che però colpisce l’Ires Cgil è il il rapporto anomalo tra ripresa-occupazione-reddito. «Se si guarda al reddito da lavoro dipendente, si può affermare che il livello delle retribuzioni è, ad oggi, ancora al 4% in meno rispetto al 2010. Così come, con riferimento alle ore lavorate, il dato delle unità di lavoro è ancora inferiore ai valori pre-crisi nella misura del -3,25%. Questo perché si conferma il ruolo fortemente marginale del contratto a tempo indeterminato (solo il 16%) rispetto all’insieme delle assunzioni, con una netta preponderanza del lavoro a termine (circa il 68%), stagionale, o di apprendistato».

In definitiva, la mini-ripresa non ha riguardato il lavoro, la qualità dell’occupazione e le retribuzioni. Anche perché le nuove assunzioni, pure con un saldo positivo di 56mila unità, sono state quasi tutte precarie. A ulteriore riprova, su 21.932 contratti di apprendistato nel 2017 solo 5.745 sono stati trasformati in contratti di lavoro. Al tempo stesso aumentano i part-time: «Prima era una scelta, mentre adesso viene imposto su larga scala». Risultato: il saldo tra inizio e fine dei contratti a tempo indeterminato è negativo, fino a produrre 24.600 lavoratori stabili in meno.

Da Mirko Lami, segretario della Cgil Toscana, una fotografia dello stato delle cose: «Anche nel 2017 ci sono state difficoltà nella stabilizzazione dei rapporti di lavoro, con una significativa impennata dei contratti a termine. Se ci chiediamo perché si assume così, la ragione va trovata nel fatto che le imprese hanno una proiezione di crescita che non va oltre i sei mesi. Inoltre hanno difficoltà finanziarie, non fosse altro perché il credito cala. Così vanno avanti con le loro forze. Ma questo porta a fare pochissimi investimenti».

Senza investimenti – e formazione – il circolo economico resta vizioso. Così la notizia economica del dopo voto in Toscana sono state le lunghe file ai Centri per l’impiego per chiedere la, già esaurita, «Indennità di partecipazione». Un progetto della Regione, con 14,5 milioni residui dei fondi per gli ammortizzatori sociali, che dà 500 euro al mese (massimo per sei mesi) a lavoratori disoccupati da almeno un anno, senza ammortizzatori sociali, che vogliono partecipare a corsi di riqualificazione. Per far fronte a una valanga di precariato, senza ombrelli di protezione: «Perché se il Jobs act prometteva di abbattere le tutele a favore delle politiche attive per il lavoro – tira le somme l’Ires Cgil – le prime sono finite, ma le seconde si sono perse per strada».