Sette anni di reclusione per la bancarotta del Credito cooperativo fiorentino, più altri due anni di pena per la truffa ai danni dello Stato sui fondi per l’editoria. Giornata durissima per Denis Verdini, che ha avuto anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, e che ha preferito non presentarsi al palazzo di giustizia fiorentino nell’atto finale del processo di primo grado per il crack del piccolo istituto di credito.
La banca, di cui il coordinatore di Ala (ed ex coordinatore di Forza Italia) era stato presidente per vent’anni, era stata commissariata da Bankitalia nel 2010, e poi avviata alla liquidazione coatta amministrativa. L’effetto diretto di una gestione patologica, tale da portare i pm ad accusare Verdini di associazione a delinquere in concorso con il consiglio di amministrazione e i sindaci revisori, bancarotta aggravata, truffa ai danni dello Stato per i finanziamenti ricevuti dai giornali locali del suo gruppo editoriale, e altri reati bancari.
Dopo sette giorni di camera di consiglio – un record – il collegio presieduto da Mario Profeta non ha ritenuto sufficientemente fondate le accuse di associazione a delinquere avanzate dai pm Luca Turco e Giuseppina Mione, e tutta una serie di reati sono stati prescritti. Per il resto però il tribunale ha confermato l’impianto accusatorio della procura fiorentina, condannando venti imputati fra cui i costruttori Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei (5 anni e 6 mesi) e il deputato di Ala, Massimo Parisi, che ha avuto 2 anni e 6 mesi per la truffa all’editoria. Condanna anche per il principe Girolamo Strozzi, che presiedeva la Società Toscana di Edizioni (Ste) che editava Il Giornale della Toscana, dorso locale del quotidiano di casa Berlusconi, mentre il periodico Metropoli Day era edito dalla controllata Sette Mari.
L’indagine sulla bancarotta del Credito cooperativo fiorentino era “figlia” proprio dell’inchiesta sulla Ste (e delle società collegate), con un’accusa iniziale di truffa allo Stato sull’assegnazione di fondi all’editoria per nove anni e almeno 10 milioni, all’epoca sequestrati con l’ok della Cassazione. La sentenza del tribunale ha invece riconosciuto le irregolarità nell’erogazione dei fondi solo per gli anni 2008 e 2009, con la prescrizione per alcuni anni precedenti (2007, 2006, 2005) e la conseguente diminuzione della condanna a Verdini, che era stata quantificata in 11 anni dai pubblici ministeri Turco e Mione.
La bancarotta invece è stata accertata: per la pubblica accusa, e anche per il tribunale, Verdini era l’incontrastato “dominus” della piccola banca della Piana fiorentina, finita gambe all’aria per numerose distrazioni di fondi per decine e decine di milioni, a vantaggio di società e persone fisiche che erano già molto indebitate verso il sistema bancario, ma che avevano il vantaggio di essere legate all’allora potente coordinatore del Pdl berlusconiano. Fra queste gli imprenditori Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei, titolari dell’impresa di costruzioni Btp, anch’essa poi fallita. A riprova, nell’ultimo bilancio approvato prima del commissariamento di Bankitalia, ai soci del Ccf era stata illustrata l’esistenza di 74,5 milioni di crediti deteriorati, mentre l’importo reale calcolato dai commissari oscillava fra i 125,8 e i 175,5 milioni. Di qui i 6 anni di reclusione per l’ex dg Italo Biagini, e le pene che vanno da 4 anni e 6 mesi a 5 anni per i componenti del consiglio di amministrazione dell’istituto di credito e per quelli del collegio sindacale.
“Faremo appello, continuiamo a credere che non esista il reato di bancarotta fraudolenta contestato a tutti, e tanto più per un esterno al Credito cooperativo quale era Fusi”. Così il difensore di Riccardo Fusi, Alessandro Traversi, mentre Franco Coppi, che difende Verdini con il collega Molinaro, non ha nascosto la sua delusione: “Ci aspettavamo ben altra sentenza, per fortuna c’è il giudizio di appello”. Dal canto suo il difensore di Parisi, Francesco Paolo Sisto, ha commentato: “Attendiamo le motivazioni della sentenza, ma ricordiamo che siamo solo al primo grado e che le accuse sono state ridimensionate”. Nessun commento all’uscita dall’aula da parte dei pm Turco e Mione.