Quello appena trascorso è stato un weekend di proteste nei Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr). La più dura si è verificata domenica notte nella struttura di Gradisca d’Isonzo, in Friuli Venezia-Giulia. Le persone recluse hanno incendiato materassi e arredi in più occasioni per denunciare la mancanza di misure anti-contagio e chiedere di essere liberate.

I vigili del fuoco sono stati chiamati almeno tre volte. La prima intorno alle 21. Militari e agenti di polizia sono intervenuti per mettere fine alla protesta. Un ragazzo nigeriano è finito in pronto soccorso in seguito alle percosse. Alcune ore dopo è stato riportato nel Cpr con una prognosi di tre giorni.

Una settimana fa a Gradisca è arrivata la conferma del primo caso ufficiale di Covid-19 in una struttura detentiva per migranti. L’uomo era stato trasferito nel Cpr da Cremona e messo in isolamento. Giovedì, però, le sue condizioni si sono aggravate. Per questo è stato ricoverato nell’ospedale di Cattinara (Trieste). Intanto si teme un secondo caso.

L’Associazione studi giuridici per l’immigrazione (Asgi) ha inviato ieri una lettera all’Asl competente per chiedere maggiori informazioni su un ricovero che – secondo alcune notizie ricevute dall’interno del Cpr – potrebbe essere legato al Covid-19. Si tratterebbe di una persona che non era in isolamento. In un lancio dell’agenzia Ansa di ieri pomeriggio, però, il prefetto di Gorizia Massimo Marchesiello ha affermato: «Nessuno dei 47 ospiti è affetto, ad oggi, da Coronavirus».

Venerdì 27 e sabato 28 marzo, invece, proteste individuali si sono svolte rispettivamente nei Cpr di Palazzo San Gervasio (provincia di Potenza) e Ponte Galeria (alle porte di Roma). Nel primo caso, un ragazzo che si trova in isolamento da diversi giorni a causa di problemi di salute è salito sul tetto per chiedere assistenza medica. Nel secondo, un recluso a cui è stato prolungato il tempo di detenzione per altri 30 giorni si è arrampicato e ha minacciato di impiccarsi. Alla fine è stato portato via.

L’ordinaria tensione che si vive nei Cpr a causa di una detenzione percepita come ingiusta, dal momento che dipende solo dallo status giuridico, e alle dure condizioni di vita nei centri è esacerbata dalle paure che la pandemia produce in persone private della libertà personale e rinchiuse in luoghi in cui è impossibile applicare misure anti-contagio efficaci.

«Persino il commissario per i diritti umani del Consiglio europeo ha chiesto ai paesi membri la chiusura dei Cpr – afferma Yasmine Accardo, della campagna lasciateCIEntrare –  In Italia, invece, rimangono aperti, continuano gli ingressi e non vengono garantite tutele alle persone trattenute. Questa situazione è contraria a qualsiasi principio».

L’interno del Cpr di Ponte Galeria, alle porte di Roma © Stefano Montesi

LA DETENZIONE AMMINISTRATIVA È ANCORA LEGITTIMA?

Ieri alcune associazioni hanno scritto ai giudici di Pace per invitarli a riconsiderare la legittimità del trattenimento alla luce dell’impossibilità di espellere i migranti. Il testo è firmato da Asgi, Antigone, Cild, Progetto Diritti, LasciateCIEntrare, Legal Clinic Roma 3 e Legal Team Italia.

Il ragionamento è lineare: per la legge il trattenimento amministrativo non è una sanzione, né penale né amministrativa, ma uno strumento funzionale a garantire l’allontanamento dei cittadini di paesi terzi. Mancando questa possibilità, visto che i rimpatri sono sospesi de facto, non ha più scopo né, quindi, legittimità. La stessa questione è stata sollevata anche dal Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, Mauro Palma, alla ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese. L’interlocuzione è ancora in corso.

Su questo punto si potrebbe essere arrivati comunque a un punto di svolta. Ieri i giudici hanno liberato i primi tre richiedenti asilo dai Cpr non convalidando il loro trattenimento proprio sulla base dell’attuale emergenza sanitaria. Due pronunciamenti sono arrivati dal tribunale di Roma per il Cpr di Ponte Galeria e uno da quello di Trieste per la struttura di Gradisca. Per i giudici «la privazione della libertà personale in spazi ristretti renderebbe difficoltoso garantire le misure previste a garanzia della salute dei singoli».

Alla mezzanotte di giovedì 26 marzo erano 367 le persone recluse nei nove Cpr sparsi sul territorio italiano (a fronte di una capienza complessiva di 613 posti). Il dato precedente, relativo al 24 marzo, riportava 14 presenze in più.

A Milano, intanto, Pierfrancesco Majorino, eurodeputato Pd ed ex assessore alle politiche sociali, ha firmato un appello rivolto a Comune e Regione per utilizzare l’ex Caserma Montella e l’ex Cie di via Corelli (dove sono in corso lavori per aprire un Cpr) come strutture di contrasto alla pandemia. Riconvertire un luogo di detenzione in uno spazio al servizio della cittadinanza potrebbe essere un buon modo per tirar fuori qualcosa di positivo da questa emergenza. Una proposta da mantenere anche dopo la fine della pandemia.