Nelle ultime 24 ore sono stati registrati 10871 nuovi casi positivi al coronavirus. Il numero di tamponi è risalito a 144 mila test eseguiti in 24 ore. Sono all’incirca gli stessi numeri su cui si è chiusa la scorsa settimana, prima che nel weekend la macchina dei tamponi si fermasse. È ritornata sotto l’8% la percentuale di test positivi sul numero totale. Ma che la situazione non sia stata ancora stabilizzata lo dicono altri numeri.

INNANZITUTTO, 89 vittime in 24 ore è il peggior bilancio dalla fine di maggio. Inoltre, non si ferma l’aumento di pazienti ricoverati in terapia intensiva: ora sono 870, 73 più del giorno precedente. Purtroppo sono queste le cifre più affidabili sull’evoluzione della situazione, dato che gli ingressi in terapia intensiva o i decessi non dipendono dal numero di tamponi eseguiti.

È sempre la Lombardia, con poco più di duemila nuovi positivi, la regione con più casi. Anche in Campania, Piemonte e Lazio se ne contano più di mille. In Liguria si registrano “solo” 907 casi, ma con un tasso di test positivi del 15%, il più elevato d’Italia. Sulle persone testate per la prima volta (escludendo screening ripetuti e casi già noti) risulta positivo il 28% dei tamponi, più di uno su quattro. Tra le regioni maggiori vanno meglio Emilia-Romagna (3% di test positivi), Lazio e Veneto (entrambe al 6%).

L’ANDAMENTO di terapie intensive e decessi continua a seguire un’evoluzione “esponenziale”, con un tasso di crescita costante. Questo suggerisce di non soffermarsi troppo sui numeri quotidiani, ma di guardare la loro proiezione di qui a poche settimane. Qualunque soglia fissata rischia di diventare rapidamente obsoleta. Sta qui il limite della “non-strategia” del governo, accusato di attendismo dalla fondazione Gimbe (Gruppo italiano di medicina basata sulle evidenze) che ieri ha sfornato un nuovo report. «La prima componente della “non strategia” è farsi guidare dai numeri del giorno per definire l’entità delle misure di contenimento, senza considerare le dinamiche attuali dell’epidemia, molto diverse da quelle della prima ondata», sostiene il presidente della fondazione Nino Cartabellotta. Che poi osserva come i provvedimenti presi non corrispondano a quelli previsti dal piano di «Prevenzione e risposta a Covid-19» da poco annunciato dal governo. Cartabellotta si riferisce allo «scenario 3» (il massimo è 4) delineato dal piano governativo, che prevede oltre alla chiusura di bar, ristoranti e locali anche lockdown locali di scuole e università e zone rosse locali. Non siamo lontanissimi, per la verità.

«NON ESSERE RIUSCITI a prevenire la risalita della curva epidemica quando avevamo un grande vantaggio sul virus – conclude Cartabellotta – oggi impone la necessità di misure di contenimento in grado di anticipare il virus. Tali misure devono essere pianificate su modelli predittivi ad almeno 2-3 settimane» per non ricadere nello «stillicidio di Dpcm».

Sulla stessa linea il Comitato tecnico-scientifico della regione Lombardia, ispiratore del coprifuoco dalle 23 alle 5 decretato dal governatore Attilio Fontana. Oggi in Lombardia ci sono 123 persone ricoverate in rianimazione. Una settimana fa erano la metà, 62. Secondo il Cts entro fine ottobre potrebbero essere 600. «Ora non c’è un minuto da perdere e serve cambiare marcia – dice Antonio Pesenti, coordinatore dell’unità di crisi lombarda per le terapie intensive – in Germania Angela Merkel è andata in tv e ha chiesto a tutti di stare a casa. Solo che qui se lo dico solo io non mi crede nessuno». Per quello il comitato aveva chiesto misure ancor più restrittive, accolte solo in parte da Fontana.

NON MOLTO DIVERSA la situazione del Lazio, dove l’assessore alla sanità Alessio D’Amato ha presentato un ulteriore piano di ampliamento dei reparti di terapia intensiva. Raddoppieranno i posti letto grazie all’apertura di nuovi reparti Covid. Terapie intensive e sub-intensive dovrebbero arrivare in breve tempo a 503 posti letto, rispetto ai 261 attuali. Difficile dire se basteranno. Quando in marzo fu decretato il lockdown, nella regione c’erano 8 pazienti in terapia intensiva. Arrivarono a quota 200 nel giro di un mese prima che la misura avesse effetto e piegasse la curva. Oggi, i dati della Protezione Civile parlano di 123 pazienti in terapia intensiva e anche con ulteriori restrizioni, i numeri prima di calare saliranno ancora. Ma fino a dove non si sa.

LA MASSIMA CRITICITÀ è in Campania, dove si attendono i medici promessi dalla Protezione Civile e mai arrivati. I dottori, però, scarseggiano ovunque, secondo Massimo Tortorella, presidente del Consulcesi, un network di difesa legale dei medici, che punta il dito contro il numero chiuso nelle facoltà di medicina deciso nel 1999: «Mancano 56 mila camici bianchi, che senso ha escludere ogni anno circa 50 mila aspiranti medici?».