Nell’economia agricola si sta ripresentando il problema già visto l’anno scorso, nei primi mesi della pandemia. Secondo Coldiretti, che ieri a Roma con Filiera Italia ha organizzato l’incontro con il governo «Recovery Food», mancano 200 mila posti di lavoro, in particolare quelli dei lavoratori stranieri che seguono i flussi stagionali organizzati dal capitalismo agricolo a livello sovranazionale. Il blocco della mobilità, decisa per contenere la diffusione del Covid, blocca i ritmi stagionali di questa divisione del lavoro, impedendo a lavoratori molto spesso irregolari e sfruttati anche con il caporalato di varcare le frontiere e, poi, tornare in patria oppure passare in un altro paese dove inizia un’altra raccolta.

IL MAROCCO, ad esempio, ha sospeso tutti i collegamenti aerei con l’Italia con grandi difficoltà per molte imprese. La comunità marocchina è la più numerosa tra i lavoratori agricoli fuori dei confini comunitari con quasi 36mila persone, il 10% circa del totale dei braccianti stranieri che ogni anno vengono occupati da nord a sud. In questa situazione si troverebbero, secondo un dossier Idos al quale ha collaborato Coldiretti, 368mila lavoratori provenienti da 155 paesi diversi e hanno fornito il 29% del totale delle giornate di lavoro necessarie al settore. La maggior parte provengono da Romania (98.011), Marocco (35.787), India (35.355) e Albania (33.568) e lavorano nella raccolta delle fragole nel Veronese, nella preparazione delle barbatelle in Friuli, nella raccolta delle mele in Trentino, della frutta in Emilia Romagna e dell’uva in Piemonte o negli allevamenti da latte in Lombardia dove a svolgere l’attività di bergamini sono soprattutto gli indiani.

PER LA FEDERAZIONE europea dei sindacati dei settori alimentari, agricoltura e turismo sono circa quattro milioni i lavoratori agricoli che operano senza documenti, in condizioni di lavoro precario e di sfruttamento, in tutta Europa. Vivono spesso in container o addirittura segregati in rifugi rudimentali costruiti in baraccopoli sovraffollate senza acqua corrente, elettricità e servizi igienico-sanitari adeguati.

A PESARE sul settore primario c’è anche il fallimento della regolarizzazione (30.700 per lavoro subordinato su 207.500 domande, in maggioranza per lavoro domestico) propagandata dal precedente governo. Molte di queste risulterebbero ancora bloccate nelle prefetture. Secondo il quinto rapporto «Agromafie e caporalato» della Flai-Cgil e dell’Osservatorio Placido Rizzotto una maggiore emersione sarebbe stata assicurata dall’azzeramento degli oneri legati alla domanda a carico del datore di lavoro (500 euro) che spesso finisce a carico del dipendente.

LA FLAI CGIL Puglia ieri ha denunciato la perdita di 6.126 posti in una delle regioni centrali della produzione. Stando ai dati forniti dall’Inps, i lavoratori del settore in Puglia sono 166.594 (Foggia 41.734, Bari 37.200, Taranto 26.520, Brindisi 22.510, Lecce 19.374, Bat 19.256). Il calo maggiore è avvenuto a Foggia (-3.682) seguita dalla provincia di Lecce con una riduzione (-1.040). Questo andamento non è nuovo. È iniziato già nel biennio precedente con una perdita di 18.979 lavoratori. «A dimostrazione – denuncia Flai Cgil Puglia – che tra Xylella e pandemia per gli addetti del settore primario è stato un anno orribile e non si capisce il motivo per cui il Governo li abbia esclusi dal Decreto sostegni». Flai Cgil, Fai-Cisl e Uila-Uil si sono mobilitate contro l’esclusione di circa 6-700 mila lavoratori che hanno perso milioni di giornate di lavoro a causa dell’emergenza Covid e dunque riescono con difficoltà a raggiungere il numero di giornate necessarie per accedere all’ammortizzatore sociale – la disoccupazione agricola. I sindacati chiedono il conteggio per l’anno 2020 delle stesse giornate di lavoro del 2019; l’introduzione del «bonus» per gli stagionali dell’agricoltura e la sua compatibilità con il reddito di emergenza; il riconoscimento di una cassa integrazione stabile per i pescatori. La mobilitazione, iniziata con un presidio a Roma questa settimana, proseguirà il 10 aprile davanti alle prefetture.