Ha fatto parecchio rumore una ricerca dell’istituto «Mario Negri» di Bergamo sull’impatto della genetica sugli effetti del Covid pubblicata sulla rivista iScience il 15 agosto. I ricercatori guidati dal direttore Giuseppe Remuzzi, uno dei medici italiani più affermati e noti al mondo, hanno analizzando un campione di poco più un migliaio di persone guarite dal Covid nella provincia più colpita dal coronavirus. In queso modo, hanno identificato che i pazienti con alcuni geni ereditati dall’uomo di Neanderthal hanno avuto una maggiore probabilità di sintomi gravi.

Della pubblicazione in realtà non si era accorto quasi nessuno fino a giovedì quando è stata presentata alla sede della Regione Lombardia con grande enfasi dal presidente leghista Attilio Fontana, dal suo assessore al welfare Guido Bertolaso e dallo stesso Remuzzi. La notizia a quel punto è stata rilanciata sui media con titoli come «Gene di Neanderthal e Covid responsabili di seimila morti in Val Seriana». Come se finalmente avessimo trovato la vera causa del disastro sanitario avvenuto in Lombarda all’inizio del 2020. E diventasse improvvisamente superflua la commissione di inchiesta parlamentare richiesta a gran voce dalla destra per indagare sull’ex-premier Conte e sull’ex-ministro Speranza (a condizione di non toccare l’operato della Regione, ente competente in materia sanitaria ma guidato dalla Lega).

Lo studio di Remuzzi e colleghi ha diverse limitazioni, come ammettono gli stessi ricercatori. Innanzitutto, il ruolo di quei geni era già stato individuato dal genetista Svante Paabo nel 2020, quindi non si tratta esattamente di una «scoperta». Inoltre, il campione considerato non comprende le vittime di Covid. Escluderle era inevitabile, visto che la ricerca chiedeva di compilare dei questionari a chi era stato contagiato. Ma comporta una distorsione dei dati ben nota a chi si occupa di metodologia della ricerca: si chiama «pregiudizio di sopravvivenza» e prende il nome da un’istruttiva vicenda bellica, che risale ai tentativi di proteggere dalla contraerea gli aerei statunitensi nella seconda guerra mondiale. I militari chiesero una consulenza agli scienziati, tra cui il matematico Abraham Wald. Osservando i fori dei proiettili nemici negli apparecchi tornati dalle missioni, in modo contro-intuitivo Wald consigliò di rafforzate le parti della carlinga rimaste intatte, e non quelle più colpite come sarebbe stato naturale pensare. Infatti, se c’erano parti non danneggiate negli aerei tornati alla base, era perché quelli raggiunti in quei punti erano stati abbattuti. Analogamente, ricavare un rischio di morte studiando solo i sopravvissuti può condurre a conclusioni fallaci.

Inoltre, sarebbe errato attribuire alla genetica la catastrofe lombarda. Non vi è alcun segnale che la percentuale del nostro Dna ereditata dal Neanderthal – tra l’1 e il 4% in media, secondo le stime scientifiche – sia più elevata a Bergamo che altrove. Ma la spiegazione genetica del disastro epidemiologico della Valseriana assolve tutti meglio ancora di una commissione d’inchiesta e i politici al governo della Lombardia non potevano non approfittarne. Lanciandosi anche in improbabili valutazioni internazionali sull’epidemia: «i numeri del Covid in Africa sono stati molto limitati e ora possiamo capire perché» ha detto Bertolaso a fianco a Remuzzi e Fontana. I geni neanderthaliani sono infatti più diffusi nelle popolazioni euroasiatiche che in quelle di origine africana, perché si ritiene che circa cinquantamila anni fa le due specie umane si siano incontrate e scambiate geni in Europa, Medio Oriente e Asia ma non in Africa. La mancanza di geni neanderthaliani avrebbe dunque protetto la popolazione africana dalla pandemia, secondo Bertolaso.

È una affermazione poco suffragata dai dati. Innanzitutto, nel 2020 è emerso che anche nelle popolazioni africane sono diffusi geni neanderthaliani, probabilmente perché le migrazioni sono avvenute in entrambi i sensi. Più probabile che ad abbassare le cifre sia stata la difficoltà di accesso ai test diagnostici in molti Paesi dell’Africa. Quando sono stati effettuati studi specifici per capire la diffusione del coronavirus in alcune aree dell’Africa sub-sahariana, il quadro emerso è stato analogo a quello di altre regioni. Inoltre, nonostante la presunta protezione genetica la minoranza statunitense afrodiscendente ha perso 3,6 anni di aspettativa di vita a causa del Covid, e solo 1,5 la popolazione caucasica mediamente più agiata. Segno che la genetica conta assai meno delle disparità sociali.

Compreso di essere caduto in un gioco più grande di lui, Remuzzi ha corretto il tiro sul genoma neanderthaliano. «Lo studio non c’entra con l’emergenza Bergamo» ha detto venerdì all’Huffington Post. «Se lo avessimo cercato a Codogno sarebbe stato lo stesso». Ma non è la prima volta che le sue parole sulla pandemia sono oggetto di strumentalizzazioni politiche, certamente al di là delle sue intenzioni. Remuzzi in passato aveva ipotizzato che gli immigrati si ammalassero meno perché godevano di una qualche immunità innata. O che le cure domiciliari a base di anti-infiammatori avrebbero salvato molte vite. E anche, insieme ad altri medici «ottimisti», che il virus si fosse indebolito a giugno 2020, pochi mesi prima che la terribile seconda ondata dell’autunno si abbattesse sull’Italia e sul resto del mondo. Affermazioni che avevano trovato grande sostegno soprattutto da parte della destra e dei movimenti complottisti, perché avevano il pregio di nascondere l’influenza delle condizioni socio-economiche sulla diffusione del Covid-19 e di supportare una narrazione consolatoria sulla pandemia.

Gli immigrati in Italia, infatti, non hanno goduto di alcuna protezione congenita: semplicemente, accedono con più difficoltà ai servizi sanitari e sfuggono alle statistiche. Le terapie domiciliari non sono state ostacolate da una presunta lobby della «tachipirina e vigile attesa» come ritengono i cospirazionisti, ma dallo stato comatoso della sanità territoriale italiana incapace di prendersi carico dei pazienti prima che questi si riversassero in pronto soccorso. E se il virus a giugno 2020 si era «indebolito» dipendeva soprattutto dal lockdown che ne aveva radicalmente bloccato la diffusione: con la riapertura dell’autunno 2020 il virus tornò a circolare e a uccidere come e più di prima, fino all’arrivo dei vaccini. Anche nel caso dei geni neanderthaliani le parole di Remuzzi sono state strumentalizzate per assolvere le responsabilità della politica.

È un destino a cui si presta ogni affermazione scientifica che cerca nella genetica una spiegazione di fenomeni sociali complessi, come il successo economico, le devianze o le dipendenze, trasformandoli in ineluttabili caratteristiche individuali. Non è certo un fenomeno nuovo, ma è ora che ogni scienziato impari a tenerne conto quando comunica le sue scoperte.