I 1108 nuovi casi positivi rintracciati ieri segnano il terzo calo consecutivo nei tamponi positivi giornalieri. Ma il dato, come sempre, da solo non spiega se la pandemia stia arretrando o allargandosi. Sul dato pesano infatti le oscillazioni dovute al minor numero di tamponi effettuati nel weekend: ieri sono stati solo 52 mila. Dunque, la tendenza al ribasso è solo apparente. Lo confermano i numeri relativi ai casi più gravi: continua lento ma costante l’aumento delle persone ricoverate (1861, 45 più del giorno prima) e di quelle in terapia intensiva (142, nove in più). I dodici decessi di ieri segnano anch’essi un trend in aumento. La situazione consiglia prudenza al ministro Speranza, che visitando il centro Toscana Life Sciences di Siene annuncia l’arrivo di un nuovo Dpcm: «Sono e restano chiusi sia le discoteche che gli stadi».

La paura è giustificata dall’esperienza. Che la pandemia di marzo ci abbia trovati impreparati si evince anche da un nuovo studio pubblicato sulla rivista “Internal Care Medicine”. L’università di Francoforte ha confrontato la disponibilità di terapie intensive per la popolazione di 14 paesi europei. Per ogni paese, i ricercatori hanno elaborato un “indice di accessibilità”, che tiene conto della disponibilità di posti letto nei reparti di rianimazione, della prossimità geografica degli ospedali e dell’adeguatezza tra la popolazione di un territorio e i posti letto a sua disposizione. I risultati vedono svettare Germania e Austria, e pongono in fondo alla classifica Francia, Italia, Inghilterra e Svezia, cioè proprio i paesi in cui il Covid-19 ha avuto la maggiore letalità. I dati «suggeriscono che una bassa accessibilità di tali cure è associata ad una più elevata letalità del Covid-19» scrivono i ricercatori. Rispetto alla Germania, «Italia e Francia hanno meno letti di terapia intensiva ma con una maggiore concentrazione geografica» osservano ancora gli autori della ricerca. «Perciò, durante un’epidemia, è più facile che a livello locale scarseggino le risorse». Difficile dire se questa statistica contenga davvero la spiegazione per la strage avvenuta nel nord Italia (e non in Germania). Certo, ricordano da vicino le numerose denunce sullo smantellamento della medicina territoriale che ha allontanato la sanità dai malati concentrandola in pochi ospedali. In Lombardia oggi gli ospedali pubblici dispongono di 5 posti letto di terapia intensiva per centomila malati, mentre in Veneto sono 9, quasi il doppio. E la disponibilità nelle strutture private non basta a colmare il divario.

Gli squilibri tra regione e regione sono sottolineati anche in un nuovo rapporto della fondazione Gimbe (Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze). Il documento quantifica le risorse economiche drenate da sud a nord grazie alla mobilità sanitaria – i viaggi della speranza dei pazienti alla ricerca di cure migliori. E fornisce una fotografia vivida degli squilibri del servizio sanitario tre le macro-aree del paese. Quando un paziente si reca in un’altra regione per curarsi, la regione di destinazione riceve un compensazione da quella di partenza. Questo “mercato” dei pazienti frutta alla regione Lombardia circa 750 milioni di euro ogni anno. Per la Campania, invece, rappresenta un esborso annuale di circa 350 milioni di euro. «Il 97% del saldo attivo – si legge nel rapporto – confluisce nelle casse di Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Toscana». In rapporto alla popolazione, Lombardia e l’Emilia-Romagna accumulano oltre 70 euro pro-capite di credito ogni anno. In Calabria la mobilità costa 150 euro per ogni residente.

In totale, la mobilità sanitaria muove risorse per 4,6 miliardi di euro. Ma secondo il presidente della fondazione Gimbe Nino Cartabellotta l’impatto economico è ben maggiore. «Se da un lato è difficile quantificare i costi sostenuti da pazienti e familiari per gli spostamenti – spiega – dall’altro è impossibile stimare sia i costi indiretti (assenze dal lavoro di familiari, permessi retribuiti), sia quelli conseguenti alla mancata esigibilità delle prestazioni territoriali e socio-sanitarie, diritti che appartengono alla vita delle persone e non alla occasionalità di una prestazione ospedaliera».