Se c’è un momento della storia recente in cui gran parte della società ha capito che la scienza è un pilastro fondamentale della nostra civiltà, del nostro benessere economico e del nostro futuro è proprio quello in cui una pandemia inaspettata ha mandato all’aria il nostro stile di vita. Sei mesi fa sarebbe stato inimmaginabile che ci saremmo rinchiusi in casa, avremmo sbarrato scuole e università, annullato ogni evento sociale, congresso, festa o fiera di paese, e cambiato le nostre abitudini radicalmente per mesi.

È proprio per questo che arriva nel miglior momento possibile il manifesto pubblicato sulla rivista Nature qualche giorno fa, firmato da 22 scienziati e scienziate dei più diversi ambiti disciplinari, e che lancia un campanello d’allarme per chi confonde la scienza con la certezza, e un modello matematico con la verità.

Lo ha promosso l’italiano Andrea Saltelli, un esperto di modelli e di politiche pubbliche dell’Universitat Oberta de Catalunya, a Barcellona. Fra i firmatari, anche la scienziata politica del Cnr Monica di Fiore, il chimico esperto di rifiuti Samuele Lo Piano dell’Istituto di scienza e tecnologia ambientale dell’Università Autonoma di Barcellona, l’innovation manager e statistico Tommaso Portaluri e l’epidemiologo Paolo Vineis. Avvertono subito: «Non esiste nessun aspetto sostanziale di questa pandemia per il quale un ricercatore possa fornire in questo momento numeri precisi e affidabili». A questo caveat sull’incertezza sulla prevalenza del virus, la sua biologia, l’incidenza degli asintomatici, il funzionamento dell’immunità, l’effetto esatto dei lockdown e del blocco delle economie, e così via, i ricercatori fanno seguire una serie di avvertimenti su come prendere i modelli matematici cui, in questi tempi di incertezza, si affidano politici e commentatori in maniera troppo acritica.

«I modelli matematici producono numeri altamente incerti – scrivono – che predicono future infezioni, ricoveri, e morti in vari scenari». Modelli che vengono branditi politicamente. «Ai modellisti non si può permettere di proiettare più certezza di quella che meritano i loro modelli; e ai politici non si può permettere di scaricare le responsabilità sui modelli scelti».

Non è che Saltelli e i suoi colleghi ce l’abbiano coi modelli, la cui utilità è evidente a chiunque abbia consultato le previsioni del tempo. Anzi. Ma per salvare i modelli dall’abbraccio soffocante dei loro creatori, i ricercatori propongono un manuale di «buone pratiche per un uso dei modelli responsabile» basato su cinque principi. Primo, attenzione a valutare i presupposti, le incertezze e le ipotesi dei modelli, che possono funzionare bene in un contesto, ma non in un altro. È importante anche capire quanto incerte sono le variabili di input, la cui indeterminatezza potrebbe rendere inutile qualsiasi previsione. Secondo: attenzione alla superbia. Se pretendiamo inserire eccessiva complessità in un modello, rischiamo di moltiplicare l’incertezza dei suoi parametri e le predizioni diventano meno accurate. Meglio un modello limitato ma più affidabile, che uno onnicomprensivo ma le cui previsioni sono inservibili.

Terzo: attenzione al contesto. I modelli non sono neutri e riflettono sempre gli interessi e i preconcetti di chi li fa, anche inconsapevoli: è quindi fondamentale, dicono gli autori, la trasparenza per evitare che interessi economici o politici occulti finiscano per prendere il sopravvento. Il modello non deve essere una scatola nera, dobbiamo poterlo smontare e interpretare, e i modellisti hanno il dovere di permetterci di farlo. Quarto, attenzione alle conseguenze e a non farsi prendere la mano dalla quantificazione: meglio un modello «circa giusto» che uno «precisamente sbagliato», scrivono. E mai tralasciare «un sano giudizio», per evitare che i modelli che garantivano che i prodotti finanziari nel 2008 erano sicuri causino una crisi mondiale.

I numeri producono una falsa sensazione di sicurezza, ed è facile mischiare fattori facilmente quantificabili, come i posti letto, con altri che lo sono meno, come i diritti fondamentali. E infine, cinque, attenzione alla nostra ignoranza. La consapevolezza dei limiti della conoscenza, la docta ignorantia, è ancora una virtù, dicono. «Comunicare quello che non si sa è altrettanto importante che quello che si sa».
I modelli servono, ma, come la scienza, non sono mai neutrali. Anche a costo di qualche incertezza in più, solo la franchezza e la trasparenza li possono rendere davvero benefici.