Di una cosa si è certi: l’emergenza di oggi rimodellerà ogni ambito della nostra quotidianità e quindi del nostro lavoro. Nel bene o nel male. Ciò che quindi diventa importante è cercare di fare rete e indirizzare i rispettivi microcosmi verso nuovi scenari senza diventarne vittime. Nella musica – che resta al momento un capitolo a margine della tragedia covid 19 – la situazione è avvilente quanto terrificante.

SECONDO la Fondazione Centro Studi Doc sono fra i 300 mila e i 380 mila i lavoratori dello spettacolo attualmente fermi. Senza considerare il sommerso. Il riscontro economico lo si può estrarre dalla Fondazione Symbola che conteggia al settore un impatto pari al 6,8% sulle attività economiche del Paese. Certo, per sostenere l’emergenza ora c’è bisogno di un algoritmo delle priorità, tanto che a promuovere solidarietà verso le istituzioni ci sono artisti, locali e festival, a cui normalmente viene riconosciuto ben poco del loro lavoro culturale e che allo stesso tempo si trovano in forte difficoltà. Cioè un numero di aziende che, si teme, la falce del Coronavirus dimezzerà.

MA LA SOLIDARIETÀ può essere anche una modalità per elaborare delle strategie capaci di riorganizzare il futuro, come si propone il movimento #StayON, con una serie di eventi in streaming (da non confondere con il live streaming in cui si presuppone uno spazio con una direzione artistica e quindi la compartecipazione delle diverse professionalità del mondo della musica), che ha lo scopo primario di agevolare le libere donazione del pubblico agli ospedali e alla Protezione Civile, attraverso i link che compaiono durante lo show.
A coordinare l’operazione è Federico Rasetti dell’associazione di categoria KeepON (aperta a tutti i soggetti interessati a partecipare) che rappresenta festival e club anche con ministeri e imprese private, con cui parliamo lasciando fuori il discorso vittime ed emergenza sanitaria: «Si tratta di tempistiche e sensibilità. Tecnici, musicisti, gestori di locali sono sicuramente fra i più colpiti dall’emergenza. Ci occupiamo di un settore non riconosciuto nell’ordinamento giuridico a differenza di altri stati europei. Quindi di luoghi che non possono svilupparsi dando lavoro a tecnici e a tutte le altre professionalità del settore, in cui la crisi rischia di aggravare uno stato di cose già arretrato. L’iniziativa è nata spontaneamente proprio dai locali e dai festival che hanno riconosciuto che le priorità sono altre, consapevoli dell’inopportunità di chiedere ora aiuti statali o ai clienti per salvare le proprie attività».

LA RETE delle adesioni è vasta, si va dai tanti uffici stampa, ai locali e ai festival come Latteria Molly, Germi, Largo Venue, Off Topic, Cap 10100 o Indiegeno Festival, così come gli artisti coinvolti, fra cui Levante, Leo Gassman, Truppi, Erica Mou, Renzo Rubino, Alberto Fortis, Paolo Benvegnù, Succi, Enrico Gabrielli, Nicolò Carnesi, Finaz, Fabrizio Cammarata. Tutti sono coscienti che una volta tornata la normalità, il pubblico sarà ancora meno propenso a spendere, la speranza di Rasetti è di fagocitare un sistema che non gravi su di esso, attraverso finanziamenti pubblici e privati: «Per i locali è importante continuare a svolgere il proprio lavoro, sviluppando anche una coscienza di classe che molti non si rendono conto di avere. Nei primissimi tempi dell’emergenza sono nate delle piattaforme che hanno cercato di monetizzare chiedendo contributi al pubblico ma non è andata bene perché il mercato è da creare e da capire. Ora si può iniziare a ragionarci in termini di programmazione». Non sappiamo che sviluppi ci saranno ma l’estrema digitalizzazione della performance artistica può diventare un’esperienza limitata, abitudinaria e rovinosa per qualità. Un futuro distopico che si conforma alla situazione, in cui la ridondanza di questi giorni crei un precedente e allo stesso tempo venga interiorizzata dagli utenti, che a un certo punto si abitueranno a seguire lo streaming e sempre meno i concerti. Il discorso può diventare tuttavia più strutturato e funzionale anche al fine di non sovraccaricare la rete: «Ho visto una pubblicità sui giusti canali di informazione, il concetto è quello: bisogna identificare quali sono i canali autorevoli, così come funziona per l’editoria, dove ci sono delle redazioni con persone che hanno studiato e con esperienza».

ATTUALMENTE si nota una dispersione dei contenuti, con gli artisti che autonomamente si prodigano in continue dirette, facendo potenzialmente affievolire il ruolo che nella vita reale hanno questi locali e festival, e quindi anche il valore delle singole competenze. Fermo restando che ci si augura semplicemente di ritrovare le persone sotto ai palchi: «L’idea è di monetizzare alcune attività attraverso delle piattaforme. Ora il modello #StayON della solidarietà si appoggia per opportunità su facebook ma, come sappiamo, i proventi che generano le multinazionali non vengono distribuiti. In futuro le piattaforme potranno essere altre, più compatibili con questo mercato, dove convogliare gli investimenti privati e pubblici, magari della comunità europea, affinché si possa pagare il locale e l’artista che a sua volta potranno ridistribuire le economie su tutta la restante filiera».
La raccolta fondi di questi giorni sarà anche un modo per contarsi, avere dati, affinché un giorno ci si possa sedere ai tavoli per far capire il ruolo sociale e culturale di questa categoria.