Dopo aver trascorso tre mesi alla finestra, l’Italia entra finalmente davvero in gioco nella corsa per garantirsi un vaccino per il Covid-19. Ad annunciarlo è stato ieri il ministro della Salute Roberto Speranza scegliendo non caso la prestigiosa platea degli Stati generali sull’economia in corso a villa Pamphili (e ai quali, seppure in videoconferenza, sono presenti i vertici di alcune delle più alte istituzioni Ue) per rendere noto l’accordo siglato tra la Inclusive vaccines alliance, consorzio guidato da Italia, Germania, Francia e Paesi Bassi, con la britannica AstraZeneca per la fornitura di 400 milioni di dosi del vaccino al quale da tempo stanno lavorando i ricercatori dell’università di Oxford.

Sicuramente uno dei più avanzati tra i tanti allo studio nei laboratori di mezzo mondo, perché già in fase di sperimentazione sull’uomo. E che affonda le sue radici anche in Italia visto che la produzione avverrà alla Irbm di Pomezia. «Nella ricerca al vaccino l’Italia si mette in testa», ha spiegato con entusiasmo il ministro della Salute, pur ammettendo che al momento «non c’è certezza assoluta sull’efficacia» reale del farmaco.

Per ora non è dato sapere quanto ha pagato l’Italia per entrare far parte del club dei Paesi che un giorno potranno lasciarsi alle spalle l’incubo della pandemia. Il cui numero si spera possa velocemente aumentare visto che la Inclusive vaccines alliance si è detta pronta a rendere disponibile il vaccino a tutti gli Stati europei che desidereranno partecipare all’iniziativa.

Da parte sua AstraZeneca si è detta invece pronta ad assicurare la produzione di due miliardi di dosi su scala globale. «Aspettiamo fiduciosi i risultati della sperimentazione perché solo allora, se saranno positivi, questo accordo e l’impegno di tutti i partner coinvolti avrà pieno significato e la speranza di tornare alla normalità sarà concreta», ha detto il presidente di AstraZenaca Italia, Lorenzo Wittum.

Un mese fa l’università di Oxford ha annunciato l’inizio di una sperimentazione clinica su una popolazione di circa 10.000 volontari adulti in Gran Bretagna ma anche in Brasile per l’alto numero di malati purtroppo presenti in questo Paese. Se tutto filerà liscio è previsto che la distribuzione del vaccino cominci per la fine dell’anno.

Al di là del comprensibile entusiasmo, un minimo di prudenza non guasterebbe. Intanto perché i precedenti dovrebbero pur insegnare qualcosa. Come accadde nel 2009 quando, in piena emergenza da influenza suina, l’Italia acquistò cento milioni di dosi di un vaccino che poi risultò inutile per la scomparsa dell’epidemia. Ma anche per i rischi di possibili speculazioni da parte di alcune case farmaceutiche. «Dobbiamo essere cauti», ha ammesso ieri il premier Giuseppe Conte, anche se, ha aggiunto, «il progetto di vaccino di Oxford è il più promettente. Ci saranno ricadute anche per un’azienda italiana».