«Il mondo è colpito da due virus: il Covid-19 e l’unilateralismo statunitense. In piena pandemia, Washington si è ritirata dall’Organizzazione mondiale della sanità, ponendo restrizioni all’accesso di farmaci».

Inizia così il dialogo in collegamento video tra il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif e il direttore dell’’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) Paolo Magri, che si è tenuto ieri nell’ambito dei Mediterranean Dialogues.

SE IL RESTO DELLA CONVERSAZIONE verterà sulla politica internazionale, l’emergenza coronavirus è un argomento necessario: ieri in Iran i morti sono stati 160, appena al di sotto del record di domenica (163), per un totale di 11.731 decessi confermati. I ricoverati in terapia intensiva crescono a 3.201, mentre i pazienti guariti diventano 204.083. I test effettuati finora sono 1.820.003. Vengono conteggiati però solo i decessi negli ospedali e il basso numero ufficiale è dovuto al numero limitato di test, laddove il Centro per la lotta contro il coronavirus ipotizza oltre 18 milioni di casi (oltre il 20% della popolazione), un dato emerso da test sierologici effettuati in modo casuale. Secondo un membro del consiglio comunale di Teheran, nella capitale sarebbero morte 5.000 persone.

Dopo l’alleggerimento del lockdown a metà aprile, i contagi e i decessi hanno subito un’impennata: 9 (su 31) le provincie dichiarate zone rosse. Ad ammalarsi sono stati anche cinque deputati e alcuni calciatori dell’Esteghlal e del Foolad Khuzestan. Per questo, è obbligatorio indossare la mascherina in pubblico e nei luoghi al chiuso. Coloro che non rispettano le regole, per esempio nei centri commerciali, non verranno serviti. E verranno prese misure più restrittive anche sui mezzi di trasporto pubblico dove la mascherina è già obbligatoria. «Gli esercizi che non rispettano le regole verranno chiusi per una settimana e i dipendenti pubblici saranno segnalati, considerati assenti e verrà loro vietato di entrare negli uffici», ha dichiarato il presidente Rohani indossando, anche lui, la mascherina.

 

In una moschea di Teheran (Ap)

 

Tornando a Zarif in dialogo con Magri, l’argomento successivo è l’accordo nucleare: ricorrono i cinque anni del negoziato frutto di un lungo lavoro diplomatico che ha coinvolto i 5+1, ovvero i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu più la Germania. Un accordo – spiega Zarif – «che l’Iran ha rispettato, ma così non è stato per gli Stati uniti, nemmeno quando alla Casa bianca c’era Barack Obama, tant’è che c’erano voluti quasi sette mesi prima che l’Ofac approvasse la vendita di aerei civili Airbus all’Iran». Inoltre, «nel novembre 2016 Teheran aveva subito innescato il meccanismo di risoluzione delle dispute quando il Congresso americano aveva esteso per dieci anni le sanzioni contro la Repubblica islamica e il presidente Obama non aveva utilizzato i propri poteri per fermarle, come previsto invece dal Jcpoa». L’accordo, aggiunge Zarif, «potrà essere salvato solo se l’Ue rispetterà i termini che ha sottoscritto ma finora si è dimostrata incapace, tant’è che le imprese europee hanno lasciato l’Iran».

 

Javad Zarif

 

RISPONDENDO ALLE DOMANDE del pubblico, il ministro degli Esteri iraniano ha insistito sul «terrorismo economico» messo in atto dagli Stati uniti, nei confronti sia dell’Iran sia del Libano. E sulla pressione esercitata sui paesi limitrofi alla Repubblica islamica, in primis l’Iraq con cui «i legami sono forti, in ambito militare nella lotta comune contro Daesh grazie al lavoro svolto dal generale Soleimani, e in ambito economico: siamo in grado di rifornire gli iracheni di elettricità e di gas naturale anche durante l’estate, quando acquistiamo energia da paesi terzi per poterla vendere a Baghdad».

IN MERITO ALLE ELEZIONI americane, per Zarif a condizionarne l’esito saranno la pandemia e la pubblicazione del libro dell’ex consigliere alla sicurezza nazionale John Bolton, ma è difficile prevedere che cosa succederà. In ogni caso, «secondo il diritto internazionale i governi ereditano le responsabilità dei loro predecessori, persino nel caso delle rivoluzioni, e l’elezione di Trump non è stata una rivoluzione ma un cambio di governo. Per questo, chiederemo un risarcimento per tutto il male che un governo statunitense ha inflitto al popolo iraniano».