I morti tornano ad aumentare, ma nel complesso prosegue il rallentamento dell’epidemia. Il dibattito sui dati, sempre più enigmatici. In Spagna e Usa il contagio corre.

DOPO DUE GIORNI in cui il numero dei decessi giornalieri era calato, ecco una mezza doccia fredda. Il dato di ieri è di 743 vittime, cioè 141 in più del giorno prima, e vicino al record registrato sabato (793). Tuttavia, così come i cali dei giorni scorsi andavano presi con le pinze, il numero delle vittime non basta ad annullare la tendenza di lungo periodo.

Gli altri numeri del bollettino comunicato dal capo della protezione civile Borrelli, infatti, sono in linea con quelli timidamente positivi dei giorni scorsi. I ricoveri in terapia intensiva sono aumentati “solo” di 192 unità, più o meno come lunedì. Le persone attualmente malate (cioè escluse quelle guarite e quelle morte) sono poco più di 54 mila. Quest’ultimo gruppo continua a crescere di numero, ma per il terzo giorno l’aumento è in calo. Tuttavia, il calo non dipende dalla frenata del contagio ma dall’aumento dei morti già citato e delle persone guarite in 24 ore: 894 contro le 408 del giorno prima. I casi positivi registrati ieri invece sono cresciuti di 5300 unità, 500 in più dei 4800 del giorno precedente. In totale, i test positivi dall’inizio dell’epidemia sono stati quasi 70 mila.

A GUARDARE I NUMERI, dunque, sembra proseguire il lento rallentamento iniziato con le misure di distanziamento sociale progressivamente estese dalla zona rossa a tutto il Paese tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo. Ma è una discesa che prevede molte oscillazioni, in parte influenzate dal numero di test che si riesce ad effettuare giornalmente. Ieri se ne sono fatti più di 21 mila a livello nazionale, cioè 4 mila più del giorno precedente (e manca il dato del Lazio, uno dei più ingenti).

Quello dei tamponi è un dato da tenere sempre in considerazione: solo se l’attività diagnostica tiene il passo dell’epidemia i numeri possono essere considerati affidabili. Ma se per i tamponi bisogna aspettare troppi giorni o non se ne fanno in numero sufficiente, le persone si ammalano, guariscono o muoiono senza vedere medici, e quindi scompaiono dalle statistiche.

LE CIFRE SEMPRE più difficili da interpretare stanno mettendo in difficoltà sia gli esperti sia chi deve comunicarli al pubblico. In un’intervista a Repubblica, il commissario Angelo Borrelli ha ammesso che «un rapporto di un malato certificato ogni dieci non censiti è credibile». Se i casi positivi non sono 70 mila, ma 700 mila, allora tutti i calcoli sulla letalità e sul “picco” diventano carta straccia. «Che ci veniamo a fare tutti i giorni qui?», è sbottato un giornalista durante l’incontro quotidiano per la comunicazione del bollettino.

In realtà, il rapporto citato da Borrelli non stupisce gli esperti che nei giorni scorsi avevano previsto numeri simili. «Il numero dei casi va fisiologicamente moltiplicato per 5 o per 10», aveva avvertito l’epidemiologo della Northeastern University di Boston Alessandro Vespignani. «Le nostre analisi suggeriscono che i dati ufficiali sottostimino di circa 20 volte il numero reale di infezioni», affermava Ilaria Dorigatti dell’Imperial College di Londra. Gli scienziati si riferivano alla Cina.

Ma il discorso sul grande numero di persone infette e asintomatici che sfuggono alla rete della sorveglianza, soprattutto quando l’emergenza sanitaria ha la meglio sul monitoraggio, vale anche per l’Italia. Ma per fare più test servono risorse.

«A proposito dei laboratori in grado di fare diagnostica, al 20 marzo sono aumentati a 77», ha detto Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore della Sanità e membro della task force che sta aiutando il governo nella crisi. Significa che nel corso dell’epidemia se ne sono aggiunti 32 ai 45 iniziali.

A LIVELLO INTERNAZIONALE, da alcuni giorni non è più l’Italia il Paese con il contagio più veloce. Negli Usa i contagi giornalieri sono oltre 10 mila, ma con un centinaio di vittime al giorno. La situazione più simile a quella italiana è in Spagna, con oltre 4 mila nuovi casi, 500 vittime ogni giorno, e gli ospedali al collasso.

In Cina, invece, ieri ha riaperto al pubblico la Grande Muraglia e ripartono i trasporti nell’Hubei. Nel capoluogo Wuhan, il lockdown durerà ancora fino all’8 aprile.