Da una parte c’è un presidente entrante che ha dalla sua l’essere una persona di esperienza e buonsenso, dall’altra una caricatura di Caligola totalmente fuori controllo, che non è abituato né ad essere contraddetto, né a pagare le conseguenze delle proprie azioni.

La prima cosa da fare, deve aver pensato la speaker Democratica della Camera Nancy Pelosi, è levargli i codici nucleari, e ha contattato il presidente del Joint Chiefs of Staff, il generale Mark Milley, il quale ha cercato di rassicurarla, dicendole che sono in atto delle salvaguardie nel caso in cui Trump voglia lanciare un’arma nucleare.

Pelosi ha sollevato gli interrogativi che abbiamo tutti noi, riguardo cosa sia necessario fare per lanciare effettivamente un attacco nucleare, e se i comandanti militari possano rifiutare un ordine di Trump.

Contrariamente a quanto si pensi, il “nuclear football”, la famosa valigetta nera che accompagna sempre un presidente, non contiene un bottone, ma le attrezzature e i documenti decisionali che Trump userebbe per autenticare gli ordini e lanciare l’attacco

La decisione di lanciare l’attacco nucleare richiede al presidente di lavorare con gli assistenti militari in possesso dei materiali di cui ha bisogno per ordinare un attacco, così come con il personale, a tutti i livelli, dai comandanti più alti fino ai membri del servizio che lavorano nei silos missilistici.

Gli attuali ed ex funzionari della difesa hanno anche insistito sul fatto che i militari non seguono ciecamente gli ordini del presidente, e ci sono livelli di controlli ed equilibri intesi a salvaguardare il Paese contro un presidente che ordina illegalmente un attacco nucleare.

La realtà, però, è che l’unica base per interferire con un ordine diretto del presidente è se è illegale, immorale o non etico.

Alcuni esperti sostengono che Milley potrebbe fare poco per impedire a Trump di ordinare un lancio nucleare, poiché lui e gli altri alti funzionari della sicurezza nazionale non sono tecnicamente nella catena di comando quando si tratta di tali decisioni.

“Qualsiasi ‘salvaguardia’ che Milley potrebbe aver eretto per impedire efficacemente a Trump di esercitare l’autorità esclusiva del lancio nucleare sarebbe in realtà un ‘colpo di stato’ secondo la definizione standard”, ha dichiarato al Washington Post Vipin Narang, esperto di politica nucleare e professore al MIT.

25° EMENDAMENTO Vs IMPEACHEMENT

È chiaro che a questo punto, dopo essere dovuta scappare dal Campidoglio ed essere messa in sicurezza insieme a tutti i colleghi del Congresso per via di una rivolta fomentata da Trump, aver ascoltato il tycoon benedire l’assalto, e aver saputo che dei paletti per scongiurare un attacco nucleare ci sono sì, ma sono bassi, il chiodo fisso della speaker è quello di togliere il potere a Trump, per sempre.

Visto che la collaborazione del vice presidente Pence è, ad essere generosi, incerta e che solo Pence può invocare il 25° emendamento per dichiarare Trump mentalmente inadatto al comando, quello che resta da fare a Pelosi è una cosa sola e che ha già dimostrato di saper fare: aprire un processo di impeachement.

Pelosi ha affermato che, per evitare a Biden di iniziare un mandato gestendo l’impeachment del presidente uscente, preferirebbe le dimissioni di Trump o che Pence invocasse il 25° emendamento, ma se non dovesse accadere, l’impeachment è un’opzione reale, con ben più sostegno all’interno del caucus democratico della Camera rispetto a quello del 2019 quando Trump è stato messo sotto accusa per la prima volta.

Tanto che ieri sera è stata diffusa una bozza del primo articolo di impeachment: “gravi crimini e misfatti incitando all’insurrezione”. Il testo redatto dai membri democratici della Camera non ha ancora avuto l’approvazione di Pelosi, ma intanto è nero su bianco.

Per evitare di essere usato come altoparlante per sovvertire un’elezione democratica, dopo averlo fatto per 12 ore, Twitter ha sospeso definitivamente l’account di Donald Trump, “a causa del rischio di ulteriore incitamento alla violenza”.

Ad aiutare Twitter a prendere la decisione sono stati i recenti tweet di The Donald in cui, elogiando i suoi sostenitori come “grandi patrioti americani”, e annunciando che non parteciperà all’insediamento di Biden, minaccia nuovamente di aumentare le tensioni in un Paese ancora vacillante.