Precipita improvvisamente il versante economico del governo Renzi, dopo le ammissioni dello stesso premier, la settimana scorsa, sul fatto che sarebbe stato difficile rispettare le previsioni di crescita contenute nel Def. Ieri sono arrivate due pesanti “mazzate”. La prima, più politica, con il sostanziale fallimento della spending review, almeno nella versione Cottarelli: il presidente del consiglio ha dato al commissario un sostanziale benservito. Dall’altro lato, continuano a piovere dati negativi: ieri l’Istat ha rilevato che il Pil è praticamente in stagnazione.

Carlo Cottarelli, il cui contratto come commissario alla spending scade il prossimo 31 ottobre, due giorni fa aveva avanzato una dura critica al governo e alla maggioranza, spiegando che l’attuale ampliamento della spesa rischia di vanificare i tagli finora fatti, peraltro già impegnati, e che impediscono inoltre una eventuale riduzione delle tasse. Ieri poi si sono diffuse voci di un suo possibile addio – che l’interessato però non ha voluto confermare, dichiarando solo un laconico: «Il lavoro va avanti».

Ma evidentemente l’attacco di Cottarelli a Renzi non è piaciuto, e così ieri pomeriggio, dalla direzione del Pd, è arrivato l’affondo: «Faremo anche senza di lui», ha detto il premier. «Io non so quel che farà Cottarelli, lo rispetto, lo stimo e farà quel che crede – ha continuato – ma la revisione della spesa la faremo anche senza di lui». La spending review «c’è, chiunque ci sia come commissario, questo o un altro. Il punto è quale revisione della spesa faremo. Perché con i 16 miliardi che stanno» nella spending «siamo al 2,3%, non al 3%».

Per Renzi, «i numeri non sono un problema»: «La vera questione che abbiamo di fronte – spiega – è non incaponirsi su una virgola perché c’è la priorità della politica, che o riprende spazio e fa il suo mestiere o nessuno di noi ha un ruolo. Se riusciamo a essere coerenti con questo mandato il 40% è coerente. Ma se deleghiamo ai tecnici il compito di governare discutendo di una poltrona o due, perdiamo la scommessa e anche l’elettorato».

Un successore di Cottarelli ci sarebbe già: Renzi vorrebbe promuovere il suo fidato consigliere economico, Yoran Gutgeld.

D’altronde, il quadrimestre che si apre in settembre non sarà certo facile: bisognerà preparare la nuova legge di Stabilità, stanziando cioè i fondi per il 2015. Si calcola che, al minimo, servirà una manovra di 16 miliardi di euro: già soltanto gli 80 euro – se si vorranno stabilizzare, ma d’altronde così ha promesso il premier – costano 10 miliardi.

E poi ci sono i soldi della cassa in deroga, da rifinanziare: il calcolo parla di 1,2 miliardi, ma solo a copertura totale del 2013 e 2014; poi c’è il 2015 (anche se questo strumento va ad esaurirsi). E, insieme, le missioni militari, oltre probabilmente a un ritocco per il deficit: visto che il debito aumenta, il Pil ristagna, e la Ue non ci ha concesso di rinviare dal 2015 al 2016 il pareggio di bilancio, anche i conti rischiano di saltare, e servirà quindi una nuova iniezione di risorse.

Quanto all’Istat, quello di ieri è stato solo l’antipasto del documento atteso il 6 agosto: tra cinque giorni arriveranno infatti le nuove previsioni sulla crescita, e dopo le pesanti sforbiciate già sferrate da Banca d’Italia e Fondo monetario internazionale, si prevede un taglio anche dall’istituto di statistica. Con quel 0,8% previsto dal governo nel Def, che resta sempre più isolato.

Lo stesso ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ieri ha dovuto ammetterlo: «La situazione economica in Italia e nella Ue – ha spiegato – è meno favorevole di quello che speravamo a inizio anno» e «richiede un maggiore sforzo per la crescita e il consolidamento dei conti pubblici».
«Serve ancora di più uno sforzo sia nazionale che europeo per la crescita – ha concluso il ministro – In un contesto di consolidamento dei conti, bisogna pensare alle misure per crescere».