«Come lo fu allora, questo è il tempo di costruire il futuro». Per il 75esimo anniversario della Repubblica, Sergio Mattarella compie quasi un’operazione di scavo, andando a rintracciare una dopo l’altra nella «storia degli italiani e della loro libertà» le qualità positive del paese. Come a preparare la dote, il bagaglio di partenza nel momento in cui comincia una sfida simile a quella cominciata quando «l’Italia è stata ricostruita dalle macerie» e «la Costituzione ha indicato la strada da percorrere».

Manca nel discorso del presidente della Repubblica, letto ieri dal cortile d’onore del Quirinale alla presenza di tutte le autorità dello stato e tramesso in tv, qualsiasi accenno diretto ai prossimi passaggi politici. Il semestre bianco è ormai distante meno di due mesi, le manovre di avvicinamento all’elezione del nuovo presidente sono cominciate. Mattarella evidentemente non ha bisogno di tornare sull’argomento, ha già detto e ribadito che non è disponibile a un reincarico, anzi che a suo modo di vedere questa eventualità andrebbe anche formalmente esclusa in Costituzione. Ma pure in assenza di indicazioni esplicite, il discorso di ieri, lungo e complesso, ha il tono delle raccomandazioni finali. Quasi una messa in sicurezza dei valori sui quali costruire la nostra «ripresa e resilienza». Subito prima di dedicarsi alla messa in sicurezza degli assetti istituzionali.

Al centro del discorso c’è il racconto di «una grande impresa collettiva», quella con la quale «i partiti, le forze sociali, i soggetti della società civile» ma anche «politici, imprenditori, lavoratori, donne e uomini di ogni ruolo e condizione» hanno «risollevato il paese». Non è storia solo di successi, tutt’altro. Con una nettezza non consueta il capo dello stato parlando del terrorismo riconosce che «la risposta degli apparati dello stato per molti aspetti apparve incerta». Ma «a salvare la democrazia in quel passaggio drammatico fu prima di tutto la straordinaria mobilitazione popolare». Ulteriore conferma del valore collettivo dell’impresa.

La democrazia, dice il capo dello stato «è qualcosa di più di un insieme di regole: è un continuo processo in cui si cerca la composizione delle aspirazioni e dei propositi». Come a dire che non c’è scampo alla politica, anche il Piano migliore dal punto di vista tecnico dovrà misurarsi con la forza e gli interessi di chi si preoccuperà di dargli gambe. Mattarella scolpisce alcuni punti fermi per la ripresa: la Repubblica, dice, «è libertà e democrazia, è legalità, è solidarietà». Ed è anche «umanità e difesa della pace e della vita» e qui aggiunge «sempre e ovunque» omaggiando l’impegno alla salvezza delle vite nel Mediterraneo. Repubblica è «uguaglianza» che però «per molti aspetti è un cammino ancora incompiuto». Parla a lungo della condizione femminile il capo dello stato. Certo non casualmente indica – soprattutto alle giovani e ai giovani invitati al Quirinale «scegliete gli esempi, i volti, i modelli tra le tante cose positive da custodire della nostra Italia» – solo esempi di donne: Lina Merlin, Nilde Iotti, Tina Anselmi, Liliana Segre, Samantha Cristoforetti. Cita anche «il ricordo del sorriso di Luana D’Orazio» per dire quanto ci sia ancora da fare per la sicurezza sul lavoro.

«Il paese non è fermo», assicura Mattarella, e «lo spirito che animò i costruttori di allora» non è «andato smarrito». «Il cambiamento è già in atto» ma dovrà essere all’altezza delle grandi riforme infrastrutturali e sociali che «hanno cambiato il profilo» del paese. Il capo dello stato ne cita tante, ma si sofferma sul cammino per «sradicare ogni forma di discriminazione». Il fatto che l’Italia di oggi sia «anche sul piano dei diritti civili più matura e consapevole, migliore di quella di 75 anni fa» va proposto alal riflessione di quanti ancora si oppongono, oggi, a provvedimenti come il disegno di legge Zan.
«Abbiamo una risorsa grande», dice in conclusione il capo dello stato, «si chiama Europa», «l’Ue è un’oasi di pace in un mondo di guerre e tensioni». Passaggio che conferma il valore di “raccomandazione” per il futuro di questo discorso per il 75esimo del 2 giugno ’46. La cui sintesi in due parole è nella penultima pagina del testo: «Avere cura della Repubblica».