La durissima trattativa tra la Grecia e Berlino-Bruxelles ci ricorda quanto sia urgente rompere con l’Europa dell’austerità e aprire una politica di cambiamento. Ma ci ricorda anche quanto siamo in ritardo, in Italia, lungo questa strada.

In Grecia Syriza è stata capace di vincere le elezioni aggregando intorno a un partito aperto le esperienze di auto-organizzazione sociale emerse dalla crisi. Podemos in Spagna ha saputo trasformare la protesta degli indignados in una forza politica radicalmente nuova. In Italia le lotte della Fiom e lo sciopero generale di Cgil e Uil del dicembre scorso hanno ridato spazio a una protesta sociale troppo a lungo soffocata in questi sette anni dall’inizio della crisi.

Sono segni di risveglio sociale, tuttavia ancora frammentati, senza una cornice che trasformi le mobilitazioni in risposta politica.

Sul piano sociale pesano anni di silenzi – con la Fiom spesso lasciata sola – e pesano movimenti che – almeno dopo la vittoria ai referendum contro la privatizzazione dell’acqua nel 2011 – sono stati incapaci di produrre egemonia. La società italiana ha reagito alla crisi piegandosi su se stessa, senza produrre una adeguata dimensione dell’agire collettivo e politico.

Matteo Renzi, con la la “scalata” al governo, ha completato la mutazione genetica del Pd, assumendo buona parte del progetto berlusconiano ed ereditandone il blocco d’interessi. Questa trasformazione politica ha rotto l’orizzonte dell’alleanza di centro-sinistra, ma ha anche aperto un enorme spazio per la costruzione del opposizione. La scelta di Sel di condurre una rigorosa opposizione e di contribuire alla nascita della lista Tsipras alle europee è stata una svolta importante in questa direzione.

La ricostruzione di una politica del cambiamento deve partire dalla capacità di parlare con le persone, interpretandone le inquietudini provocate dalla crisi, costruendo un senso comune diverso. Serve innanzi tutto una politica che sia popolare, che costruisca un argine al populismo –a quello impotente di Grillo e a quello becero di Salvini, come a quello “dall’alto” di Matteo Renzi, che si è distinto domenica scorsa in un vergognoso attacco a Landini.

L’espressione politica delle spinte sociali al cambiamento è stata bloccata in Italia dalla frammentazione e dalle divisioni tra le forze politiche del paese – le varie opposizioni dentro il Pd, Sel, Rifondazione, l’esperienza importante ma non sviluppata appieno della Lista “Un’altra Europa con Tsipras” alle elezioni europee del 2015, la dispersione dei verdi tra Green Italy e altre organizzazioni. Le proposte più recenti – quella di Nichi Vendola a Human Factor, le iniziative di allargamento sociale e sindacale proposte dalla Fiom, la discussione proposta da Rodotà – sono segnali di disponibilità a mettere in comune energie e progetto politico. Ma fanno fatica a convergere in una cornice comune, effettivamente condivisa. Quale può essere la “via italiana” a una politica del cambiamento che ci avvicini ai risultati di Syriza e Podemos?

La risposta dev’essere un processo di convergenza che ricomponga la divisione che abbiamo ereditato tra “coalizione sociale” e “coalizione politica”. Syriza vince anche perché ha trasformato le sedi di partito in mense dei poveri e ambulatori sociali. Serve pari dignità tra lavoro sociale e di movimento e lavoro politico.

Serve un nuovo modello di aggregazione politica e sociale: potremmo chiamarlo “Fronte Pop”. La cosa che gli assomiglia di più è il Fronte popolare che nell’Europa degli anni trenta resse l’urto dei fascismi anticipando il progetto di welfare che si affermò poi nel dopoguerra. Ora un “Fronte Pop” – ma qualunque altro nome va bene – può offrire la convergenza necessaria per far sentire dentro lo stesso progetto di cambiamento chi vota contro Renzi in Parlamento e chi sta alla mensa della Caritas, l’ecologista che lavora alla prossima conferenza sul clima di Parigi e chi si oppone alle guerre ovunque, chi difende i diritti del lavoro e quelli dei migranti, le donne discriminate e i giovani senza futuro. Questo percorso potrebbe nascere da una convenzione di soggetti e persone che assumono un progetto comune di cambiamento, guidato da un gruppo dirigente in cui siano rappresentati tutti, mantenendo la propria autonomia d’azione in una forza di cambiamento della politica. Proprio come sono riuscite a fare – in forme diverse – Syriza e Podemos.

Il “Fronte Pop” potrebbe muoversi e crescere sulle gambe di cinque campagne comuni a tutti. L’Europa da cambiare e la fine dell’austerità. Il lavoro da difendere e i diritti dei lavoratori da ricostruire. L’ambiente e la riconversione ecologica dell’economia. La democrazia, i diritti civili e di cittadinanza, con la difesa della scuola e del welfare. La pace contro l’interventismo militare. Potrebbe essere un’agenda entusiasmante, non credete?