Il risultato delle elezioni dell’Assemblea costituente venezuelana è arrivato intorno alla mezzanotte di lunedì: ai seggi sono andati quasi 8,1 milioni di cittadini, il 41,53% degli aventi diritto.

Durante la giornata di domenica alle lunghe file ai seggi hanno fatto da contraltare le violenze di piazza, almeno 14 morti (tra cui un candidato alla Costituente, Jose Felix Pineda, 39 anni, ucciso nella sua casa nel Bolivar, e un poliziotto), per lo più circoscritte – spiegano fonti locali – ai quartieri della classe media e della borghesia di Caracas e delle altre città venezuelane.

Nel ricco quartiere di Chacao, nella zona orientale della capitale, otto soldati sono rimasti feriti da un’esplosione. Ed è proprio qui, nelle aree appannaggio delle classi alte che l’affluenza è stata bassissima dopo la chiamata al boicottaggio da parte delle opposizioni, un’immagine del tutto diversa da quella che arrivava dai seggi delle zone popolari, a presenza operaia, dove si è votato un’ora in più del previsto.

Due immagini che danno il polso della situazione che vive il paese: il Venezuela è oggettivamente diviso in due, con una parte della popolazione che continua a sostenere il presidente Maduro, una seconda (che è quella che permise alle opposizioni nel dicembre 2015 di ottenere la maggioranza del parlamento) che vuole la cacciata dell’erede di Chávez e una terza – intorno al 20-25% – che si astiene.

Domenica notte Maduro ha celebrato il risultato, sicuramente significativo per il clima in cui è svolto: violenze delle guarimbas, barricate per le strade, manifestazioni vietate dal governo e tensione ai seggi, tanto che il ministro della difesa Lopez ha fatto sapere che 200 centri elettorali su 15mila sono stati chiusi per atti di violenza e per l’uccisione di un attivista. Per questa ragione, fa sapere il governo, oggi le comunità indigene sceglieranno i loro otto rappresentanti, non eletti a causa della chiusura di alcuni seggi.

È significativo anche per i numeri: gli altri presidenti latinoamericani che oggi parlano di boicottaggio di Caracas – da Temer a Nieto – non vantano un tale sostegno popolare.

Allo stesso tempo, però, il risultato va contestualizzato: si profila una spaccatura che le schede nelle urne di ieri certificano. Se il 41% degli aventi diritto ha votato, il 60 non lo ha fatto.

Così ieri si sono subito sollevate le voci che chiedono il dialogo immediato. Tra queste quelle dello stesso Maduro, che si è rivolto alla folla a Caracas poco dopo il voto: «Otto milioni in mezzo alle minacce hanno votato – ha detto – [La Costituente] sarà un posto per il dialogo».

Il presidente ha fatto appello a chi nell’opposizione «vuole la pace», minacciando poi di escludere dalle elezioni chi proseguirà con le violenze. «Questa elezione segnerà gli anni futuri dell’indipendenza dell’America Latina», ha aggiunto con un chiaro riferimento a Trump e agli sforzi statunitensi per rimettere definitivamente le mani sul «cortile di casa», con sanzioni e sostegno alle opposizioni interne.

Si è alzata anche la voce di padre Arturo Sosa, della Compagnia del Gesù: «È necessario arrivare, mediante un negoziato onesto e sincero, ad un programma di unità nazionale che permetta di dare la priorità alla risoluzione dei problemi a causa dei quali milioni di venezuelani soffrono».

Le sue parole sono state trasmette da Radio Vaticana e ricalcano quelle espresse nei mesi scorsi da papa Francesco, in contrasto con i vescovi venezuelani schierati dalla prima ora con le destre. Che ieri hanno attaccato Maduro parlando di «processo fraudolento» e di «voto nullo» e calcolando solo in tre milioni i votanti. Il presidente del parlamento Borges ha fatto sapere che i parlamentari anti-chavisti non intendono lasciare l’aula.

A loro si sono accodati i governi anti-Caracas: Canada, Gran Bretagna, Argentina, Brasile, Cile, Colombia, Perù, Messico, Costa Rica e Panama non riconoscono il voto e il dipartimento di Stato Usa minaccia «dure azioni contro gli architetti dell’autoritarismo in Venezuela». In serata arriva la reazione ufficiale: il dipartimento del Tesoro Usa sanziona direttamente Maduro, etichettandolo come «dittatore». Tutti i beni del presidenti sono stati congelati, alle imprese Usa è stato imposto di non fare affari con lui.

Ora, secondo quanto previsto dall’attuale costituzione, l’Assemblea Costituente ne redigerà una nuova e il presidente non potrà intervenire sui contenuti. Giovedì inizierà l’attività dopo il giuramento dei 545 membri (364 eletti per competenza territoriale e 173 sociale, ovvero 8 contadini e pescatori, 5 imprenditori, 5 disabili, 24 studenti, 24 membri
di consigli locali, 28 pensionati e 79 operai. più 8 rappresentanti delle comunità indigene).

Il testo sarà sottoposto ai cittadini con referendum, previsto al momento per il 19 dicembre. L’obiettivo dichiarato da Maduro è rafforzare la rivoluzione bolivariana, le riforme su salute, educazione, democrazia partecipativa. Ma prima deve far uscire il paese dall’impasse di oggi, dai limiti pericolosi della monocultura petrolifera e il modello estrattivo che hanno impoverito la popolazione.