«In questo paese che altri hanno chiamato Cile, non tutti sono cileni», ha scritto il sociologo Tito Tricot: «È tanto semplice quanto dire che una volta c’era un paese chiamato Wallmapu, indipendente e sovrano, finché non lo invase un paese straniero usurpando tutto: terra, alberi, uccelli, vento, lacrime, ossa». Eppure, è proprio per il mancato riconoscimento di questa verità elementare che tutte le misure adottate nei riguardi del popolo mapuche dai governi che si sono succeduti in questi 30 anni si sono rivelate un completo fallimento. Comprese, ovviamente, quelle del governo Piñera, il quale, attento come sempre alle richieste dell’estrema destra e delle grandi imprese, risponde con l’unica arma di cui è capace – quella della repressione – alla lotta in corso per la riconquista delle terre ancestrali da parte di un popolo che non si è mai inginocchiato di fronte a nessuno.

È in questo quadro che oggi e domani si vota per scegliere i membri della Convenzione chiamata a elaborare la nuova Costituzione cilena. Un processo, quello costituente, rispetto al quale il popolo mapuche ha assunto posizioni diverse e persino opposte, come ci spiega, in questa intervista, lo storico mapuche Fernando Pairican.

Come sta vivendo il mondo mapuche il processo costituente?

Quello che io ho chiamato movimento di rottura per l’autodeterminazione ha respinto tale processo, non considerandolo una via per avanzare verso la conquista dei nostri diritti fondamentali. Negli ultimi tempi, piuttosto, tale movimento ha incrementato la sua lotta per l’autonomia facendo ricorso a metodi più violenti, come indica l’appello della Cam (Coordinadora de Comunidades en Conflicto Arauco-Malleco) a portare avanti il recupero delle terre usurpate e i sabotaggi nei confronti delle imprese forestali e dei grandi latifondisti. In uno scenario caratterizzato dalla crescente repressione dello stato cileno, sono sorte inoltre nuove organizzazioni autonomiste dalla forte identità territoriale come Aukan Weichan Mapu e la Resistencia Mapuche Lafkenche, impegnate in azioni di sabotaggio contro gli investimenti capitalisti nel territorio ancestrale. Su questa stessa linea si incontra anche il settore guidato da Aucán Huilcamán, il Consejo de todas la tierras, che si oppone al concetto di plurinazionalità ritenendolo funzionale alla nascita di un nuovo colonialismo, a scapito del diritto all’autodeterminazione. Ciò non ha comunque impedito a Huilcamán di candidarsi alla carica di governatore dell’Araucanía, nella convinzione che solo un mapuche possa garantire la pace nella regione.

E invece la parte del popolo mapuche che ha aderito al processo costituente?

È la linea, che io sottoscrivo, che considera tale processo una via politica per avanzare verso la costruzione di uno stato plurinazionale, rompendo quell’accerchiamento che impedisce lo sviluppo dei nostri diritti collettivi. Si tratta di quello che io chiamo movimento mapuche gradualista, secondo cui la plurinazionalità permetterebbe di aprire una nuova fase nel processo verso l’autodeterminazione, smantellando il colonialismo istituzionalizzato dello stato nazionale. E consentirebbe inoltre al popolo mapuche di trovare un punto di incontro con il mondo aymara, quechua e diaguita, con il popolo rapanui, con il popolo kawesquar della zona australe. È in questa prospettiva che si pone la questione dei seggi riservati ai popoli indigeni: per la prima volta nella storia del nostro paese i candidati indigeni saranno votati dagli stessi indigeni, i quali potranno così dimostrare di essere una forza politica importante da cui il processo costituente non può prescindere.

Sui seggi riservati, però, le critiche all’interno del mondo mapuche sono state forti, tanto più in assenza di una consultazione indigena al riguardo.

Nel contesto storico che vive il paese, io ho condiviso la battaglia per i seggi riservati. L’accordo raggiunto, è vero, non è quello che speravamo. I seggi riconosciuti sono appena 17 (di cui 7 destinati ai mapuche), anziché i 24 sollecitati in base al peso demografico della popolazione indigena (pari al 12,8% degli abitanti). Del resto in parlamento esistono settori con potenti interessi in territorio mapuche: è naturale che si oppongano alla democratizzazione del paese e al riconoscimento di un potere decisionale da parte degli indigeni. Quello che è in gioco in questa battaglia, però, è il rafforzamento di un potere politico indigeno autonomo.

Quale dei due settori ha più peso, quello di rottura o quello gradualista?

Il popolo mapuche non ha mai potuto misurarsi sul piano elettorale relativamente a questo dibattito interno. Lo potrà fare per la prima volta in queste elezioni. E per il mondo indigeno si tratta di un aspetto importante di questo processo costituente.

Qual è la tua speranza rispetto a queste elezioni?

Che si possa dimostrare che esiste un’importante forza politica indigena. Vi sono candidati di grande spessore, molti del movimento autonomista, come Galvarino Reiman, Elisa Loncón, Adolfo Millabur, Ana María Llao, Ingrid Maritza Conejeros e la machi Francisca Linconao, che è stata anche prigioniera politica. Potrebbero offrire un contributo rilevante in questo processo, per quanto sia evidente che con esso non risolveremo tutto. Tuttavia, se l’ultima costituzione è stata elaborata da una dittatura militare, la prossima potrebbe essere frutto della cittadinanza. È un fatto inedito nella storia del Cile, malgrado tutti i limiti e i tranelli del processo costituente.